Un gatto nero e randagio, cercava una casa. Disperato, vagava per le strade della città. Le persone lo evitavano, superstiziose.
I gatti casalinghi, guardandolo dalle finestre, ne prendevano in giro il pelo scuro ed ispido. Il gatto nero, randagio, voleva una casa.
Miagolò alla prima porta, lo scacciarono. Alla seconda porta, lo scacciarono. Il gatto nero e randagio ebbe un’idea: “diventerò un gatto bianco”, pensò, appostandosi nei pressi di un cantiere.
Quando gli umani andarono via, il gatto nero e randagio fece irruzione, trovò un secchio di vernice bianca e ci si tuffò dentro, senza esitare. La vernice era vecchia, gommosa, densa: il gatto nero e randagio stava annegando.
Nel cantiere dormiva un vagabondo. Il vagabondo vide il gatto e lo salvò, gli diede da mangiare e gli fece una carezza.
Il gatto, bianco e randagio, andò via, si presentò alla prima porta a cui aveva bussato. La famiglia vide il gatto bianco e decise di tenerlo. Il gatto ora era bianco e non più randagio.
Il giorno dopo la famiglia decise che il gatto doveva fare un bagno. Il gatto tornò nero, ma non era più randagio. “Non lo voglio un gatto nero”, pianse la bambina. Il gatto, di nuovo nero e randagio, tornò in strada.
Qualche giorno dopo il gatto nero e randagio incontrò il vagabondo, che lo riconobbe, nonostante fosse di nuovo nero. Il vagabondo gli diede da mangiare e gli fece una carezza.
Il gatto era ancora nero e randagio, ma ora aveva una casa di cartone.
Il vagabondo aveva un amico.
La bambina solo le sue lacrime.