Non curare il mio corpo,
lascia che le ferite sanguinino,
che le cicatrici facciano
squallida mostra di se.
I lividi mi racconteranno,
meglio di un nome.
Il passo lento e zoppo
non mentirà su chi sono.
Lascia che vedano
i solchi pallidi sulla pelle
e che chiedano curiosi;
lascia che racconti loro
della mia prigionia,
della cattura, delle torture,
della fuga e della libertà.
Lascia che dubitino
della loro stessa forza:
i forti, i vincitori, i mai caduti
oscilleranno, vacilleranno,
consapevoli di ignorare
se davvero saprebbero rialzarsi,
inventare una scappatoia,
restare vigili e lucidi.
Lascia che mi guardino negli occhi,
con la sicurezza di trovare l’abisso:
impazziranno, impreparati,
trovandosi nel mio infinito.
Lasciami cadere ancora,
affinché possa chiamare
le mie gambe alla battaglia,
le mani alla guerriglia,
il cuore e la mente all’alleanza.
Quando sarò un ricordo,
non mentire, non farlo:
racconta delle mie debolezze
e di come le ho sconfitte:
accettandole, senza vergogna.
Lascia che guardino un caduto,
ma vedano un sopravvissuto.
(03.02.2018)