Ieri mi hanno fatto una domanda apparentemente semplice, in realtà molto delicata: “perché si soffre?”
Ho dato una risposta alla persona in questione, ma poi mi sono reso conto che la domanda era molto più grande, ramificata e forse timidamente subdola: voi, che risposta dareste?
In primis, alla persona che me l’ha chiesto, vorrei far notare che ciclicamente è lei a venirmi a dare una risposta: quindi chiedo io a te, perché ciclicamente la dimentichiamo?
C’è una scena del film “The Doors” che non dimenticherò mai, in cui Ray Manzarek guarda Jim Morrison (strafatto) e gli dice: “Dici che ami il dolore, ma fai di tutto per evitarlo.”
Ecco, io spesso ho sofferto per questa ragione: evitare il dolore. Assurdità? Invece no!
Come una febbre il dolore deve arrivare, sfogare, passare. Se lo si placa nei sintomi, con medicine palliative, la causa sarà sempre lì, dentro di voi, pronta a tornare fuori al primo soffio di sfiga.
Il dolore, invece, va abbracciato, preso di faccia e stretto, fino alla fine, fino a quando anche l’ultimo germe di illogicità se ne sia andato in un grande starnuto dell’anima.
Io, anche se tardivamente, ho cominciato a fare così ed oggi il dolore non mi fa più soffrire, fa solo il suo dovere: fa male, poi passa.
Sempre ieri un’altra persona mi ha chiesto (questa cosa capita spesso): “Tutto bene, leggo quello che scrivi…”
Ecco un’altra routine della mia vita: scrivo una poesia triste=sono triste. NO, non è così: quella è la valvola di sfogo del dolore, è il mio modo di abbracciarlo… È esattamente il contrario: Leggi quello che scrivo? Allora vuol dire che sto bene, per il solo fatto che io lo scriva!
Paradossalmente le persone convinte che io “soffra” sono quelle che non mi frequentano, non mi leggono, non mi ascoltano… Poi gli capita (per caso) un post sotto gli occhi e si convincono che io stia male!
Chiedetelo a chi mi frequenta ogni sera, se sorrido o no! Chiedetelo a me e per una volta fidatevi! Venite a vedere con i vostri occhi, uscite con me, vivetemi… Poi ditemi se sembro uno che sta male!
Socia, vuoi sapere perché soffriamo? Perché ci hanno convinto che è così, ma non è vero!!!
Guardali, affacciati alla finestra (se continui cantando Jova t’ammazzo), osserva la gente: sono felici? Prendi il tram, entra in un supermercato, fai la fila alle poste, osserva i tuoi colleghi: quanti ne vedi tristi?
Io quest’esercizio l’ho fatto: pochi socia, davvero pochi mi sono sembrati felici!
Sono tutti presi dal loro essere perfettamente integrati, divertenti, belli, sempre in tiro, sorridenti, gradevoli, educati, gentili… i loro feed di instagram sono copertine luccicanti di una vita perfetta. Sono sempre motivati. Sono sempre sul pezzo. Sono sempre “skillati”.
Eppure… Li hai visti i loro occhi: tristi! Cosa gli manca? Gli manca il dolore, socia… IL DOLORE!!!
Non hanno mai smaltito quella “febbre”, coprendola con decine e decine di “va tutto bene”, ma non era così e la febbre cresceva, diventando infezione.
Ed ora? Eh, poveri loro, perché ormai l’infezione è cronica e dovranno sempre placarla con i loro palliativi quotidiani.
Pensandoci, non lo facciamo anche noi, non ci proviamo almeno? Cerchiamo di mostrarci felici ed a volte ci riusciamo altre no, come mai?
Perché a volte lo siamo ed a volte no!!! Smettiamola di cercare sempre i significati tra le righe: è semplice, limpido e naturale!
A volte siamo felici e lo urliamo… E piace a tutti, tutto va bene, tutto è bello!
Altre volte siamo tristi e lo sussurriamo, lo suggeriamo… E non va bene! Bisogna urlare anche quello!
Non si soffre per il dolore, si soffre perché lo si deve zittire!
Noi siamo luce ed ombra, bene e male, sorrisi e lacrime: come una giornata è fatta di notte e giorno, non puoi eliminare nessuno dei due, oppure il tempo si fermerà.
Provare dolore è normale, manifestarlo è normale: bisogna essere capaci anche di essere tristi, in modo da provare vera felicità quando arriva.
La tristezza e la gioia, infatti, come nel film Inside Out (geniale!), non sono alternative, ma convivono!
Non si può sperare che “un giorno saremo felici”: siamo felici per alcune cose e tristi per altre, costantemente, ogni istante della nostra esistenza, ma.
Socia, la vita ci ha colpito, per questo ora ci teniamo strette le piccole felicità quotidiane.
Qualcuno solo poco tempo fa mi ha detto “anche io ho sofferto tanto”, poi ha continuato con “un giorno pagherò questa scelta”…
Ecco socia, quella persona non ha sofferto ancora abbastanza!
Perché soffriamo? Per riconoscere la felicità, almeno quella potenziale, quando ci si presenta!
Noi, cara la mia socia, non siamo così: noi ne abbiamo abbastanza, noi abbiamo già pagato ogni scelta, noi vogliamo emozionarci OGGI!!!
Quindi, lo chiedo io a te: Socia, perché soffriamo?
Esatto: non soffriamo, siamo semplicemente in grado di provare dolore! ESATTO!!!
NDA: Però… Ora basta!!!
Infatti si è felici anche quando si è tristi, se si è tristi con passione 🙂
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Signori e signore: she’s Sydney!
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Non lo so perché si soffre e onestamente non credo alla stronzata del “per apprezzare di più i momenti belli”, ché chi ha sofferto, qualunque sia stata la causa, i momenti belli li riconosce ad un km di distanza senza bisogno del promemoria periodico.
So che a volte la sofferenza si sedimenta e allora diventa tristezza e la tristezza la conosco bene.
Quella di chi non riesce a perdonarsi nulla, di chi ripone negli altri sempre grandi aspettative e poi rimane deluso, di chi si carica sulle spalle ogni responsabilità, di chi si è così abituato ad essere considerato forte e solido da perdere la capacità di chiedere aiuto.
Mi rendo conto di essere triste ultimamente, ma forse in realtà è una condizione permanente in me, perché non so perdonarmi nulla, perché potevo fare di più o diversamente… Si, sono in grado di soffrire ma vorrei per un po scordarmi come si fa!
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