Ho provato Rancore, poi speranza: il cantautorato del rap.

Non ho mai fatto segreto del mio debole per la musica Rap, come della crescente delusione, sviluppata negli ultimi anni.

Mi sono distaccato da questo genere gradualmente, deluso dalla mancanza di temi, di ricerca delle parole e in molti casi di dignità.

Avevo preso talmente sulle palle i rapper, da smettere completamente di ascoltarli, di cercare qualcosa di nuovo, rinchiudendomi nella comfort zone dei miei adorati Frankie Hi NRG MC e Caparezza.

Loro due, a mio parere, rappresentavano (e rappresentano ancora) la punta massima raggiunta dal Rap italiano.

Frankie HI NRG MC (Francesco Di Gesù) mi ha iniziato al genere con l’album “La Morte dei Miracoli” (1997), per poi sdoganarlo dal classico “beat” con “Rapcical” (2005), che di Rap ha solo lo stile vocale, per il resto è praticamente un album praticamente fusion.

Caparezza (Michele Salvemini)… Beh, che dire? È Caparezza! Bisognerebbe ascoltarlo con il libretto in mano, come all’opera! “Museica” (2014), a mio parere, resta l’album Rap italiano più intelligente, completo e semplicemente bello che io abbia mai ascoltato, nonché uno dei più belli in generale.

Capa e Frankie rappresentano esattamente il Rap che io voglio: un genere che, essendo basato sulle parole, danno attenzione a come le utilizzano, a cosa dicono, svolgendo un tema attorno ad un significato. In più la parte musicale non è mai banale.

Tra i due, pur militando in una cover band del Capa, io ho sempre preferito Frankie. Lo preferisco per ragioni storiche, dato che mi ricorda l’adolescenza, ma anche musicali. Caparezza ha raggiunto vette testuali altissime in “Eroe”, “Non siete stato voi”, “Una chiave”, “China Town”, ma Frankie, con pezzi come “Libri di sangue”, “Giù le mani da Caino” e “Accendimi” ha dato vita a quello che io cerco: il “cantautorato del rap”!

Pensavo che questi due mostri sacri sarebbero stati irraggiungibili per sempre, avevo perso la speranza: io volevo una speranza!

L’ho cercata quella speranza, credetemi! Sempre meno, certo, in maniera sempre più svogliata, ma l’ho cercata!

Potrei parlarvi di Salmo (Maurizio Pisciottu), che non mi dispiace per niente, ha scritto cose bellissime: “S.A.L.M.O” ad esempio è un brano che ti scava dentro, col cucchiaio. Non posso farlo perché già lo conoscevo da tempo, ma soprattutto perché, pur avendo il flow più forte che io abbia mai sentito, non me la sento di paragonarlo ai due personaggi citati poco sopra. Stesso discorso per Clementino (Clemente Maccaro), che io considero un po’ “l’Eminem italiano”, tanto è riconoscibile vocalmente, ma non posso considerarlo, campanilisticamente mio malgrado, un cantautore del Rap.

Stesso discorso per altri soggetti non certo da sottovalutare: Enigma (Francesco Marcello Scano) e Willie Peyote (Guglielmo Bruno) mi hanno stupito fin dal primo ascolto, specialmente il secondo. Li ho ascoltati e li ascolto con piacere, ma anche loro non sono quello che io cerco. Conoscendoli li ho apprezzati, ma non hanno soddisfatto il mio bisogno di speranza.

Questo 2020, poi, tra le tante sfighe che mi/ci ha portato, ha avuto la decenza (almeno) di accontentarmi con delle novità, facendomi scoprire alcuni nomi: forse avevo una speranza!

Ho scoperto. ad esempio, Hyst (Taiyo Yamanouchi). Mi piace il suo stile molto soft, l’utilizzo che fa delle tastiere e la scrittura del testo sempre pungente. È un rap di qualità, ma non è lui il protagonista di questo articolo, come qualcuno avrà, ormai, intuito dal titolo. Anche lui non è un cantautore del rap.

Pochissimo tempo prima di Hyst ho scoperto Murubutu (Alessio Mariani) e FINALMENTE, dopo tanti tanti tanti anni, ho avuto la percezione che qualcuno potesse ridarmi l’appagamento che ritrovavo in Frankie e Caparezza, specie nel primo: LUI È un cantautore del rap!

Ho conosciuto Murubutu a gennaio, quando un’amica mi ha proposto un suo live. la compagnia era piacevole e mi fidavo di lei musicalmente, perché non accettare? QUELLA SERA LA MUSICA MI HA RAPITO!

Quella sera ho scoperto anche che Murubutu è il raper, ma Alessio, il suo alter ego, è un docente: quando sveste i panni del rapper, torna un insegnante di storia e filosofia, ma credetemi che nelle sue canzoni si sente.

La sua Musica è un rap “letterario”, nel quale racconta storie, miti e leggende, alcuni ispirati dalla realtà, altri dai suoi studi, altri semplicemente inventati. I testi sono sempre ricercati, nessuna parola è scelta a caso.

Quando ho ascoltato bene “Grecale” o “I marinai tornano tardi”, fuori dal casino del concerto, vi confesso di essermi commosso.

Pur considerando Murubutu il mio nuovo amico speciale del rap italiano, tuttavia, ancora una volta non è di lui che voglio parlare: io cerco una speranza e lui non può esserla. Lui è come Frankie e Capa perché fa parte di quella generazione. Io cerco qualcosa di giovane, di nuovo, di “adesso”.

Murubutu non è il protagonista di questo articolo, ma me l’ha fatto conoscere: sto parlando di Rancore (Tarek Iurcich), che io avevo sentito nominare, ma che non avevo mai approfondito.

Mi ci sono imbattuto tramite “Scirocco”, una canzone di Murubutu, in cui Rancore canta la seconda strofa: ricordo che, dopo il primo ascolto, l’ho rimessa almeno una decina di volte.

Non potevo credere alle mie orecchie: ero di fronte alla mia speranza.

Vi accenno solo un piccolo pezzo di quella Poesia:

Il crepuscolo, che fu svegliato, fu platea di un pubblico, che poi si presentò come un cielo stellato.
Un velo, Paolo irrigidì ogni muscolo ed accelerò, passando dall’asfalto rovinato allo sterrato nero, come un buco dentro al buio. Dietro agli angoli, nei boschi, si udivano i vecchi proverbi degli alberi: “i mostri non li hai mai distrutti tutti, copiandoli! Le armi che hai comprato ora le butti, coriandoli!

Di che stiamo parlando? Qui siamo di fronte non a rap, ma a letteratura!

Quella sera cominciai ad ascoltare Rancore, innamorandomene, play dopo play. Certo, devo dare spazio al giusto parere di un amico, che sostiene l’eccessiva “serietà” delle sue canzoni, ma a me questa cosa non disturba.

Io che combatto da sempre il “Take it easy”, non posso venir meno, quando qualcuno mi accontenta. Di musica più frivola ne sono piene le playlist.

Rancore non ti vuole far divertire, ma sotterrare! Ti punta una pistola alla testa e ti obbliga a pensare!

Ieri sera, ad esempio, ho percepito distintamente il gelo della canna contro la tempia!

Contestualizziamo: tornavo da un aperitivo veloce con un’amica, alla quale dovevo degli auguri di compleanno, che ovviamente si è trasformato in una birra. Al ritorno avevo una poesia in testa e, per non perderla, ho deciso di fermarmi a bere un Negroni e scriverla. Incontrando un amico, ci ho piacevolmente parlato per almeno un’ora, discutendo di temi a me cari, come la discriminazione e l’emancipazione degli esseri umani dalla violenza. Risultato: i Negroni sono diventati 4, più qualche shot di vodka.

Stavo bene, ma nel rincasare, mi sono accorto di avere un po’ di malinconia attaccata al piede e per liberamene ho deciso di fare una passeggiata fino al distributore di sigarette. Ho indossato le cuffiette, avviato la playlist di Rancore e lui era lì, pronto a darmene di santa ragione.

Stavolta, annebbiato dai Negroni, non avevo i riflessi pronti per difendermi, quindi ho incassato ogni colpo senza neanche provarci.

Prima mi ha stordito con “Arlecchino”, una canzone che, a parte un paio di passaggi, mi rappresenta in pieno. È una canzone che mi fa pensare alla mia vita e a mia madre: “ è a forza di prendere pezze, che la mamma gli ha fatto un vestito”, oppure “dentro lo Stige, la madre ha sbagliato, ha infilato soltanto il tallone”.

Da ieri sera “Arlecchino” è il mio nuovo manifesto personale: se qualcuno mi chiederà di descrivermi, io gli passerò il link alla canzone!

Subito dopo Arlecchino, l’algoritmo del mio servizio di Musica in streaming mi ha proposto un destro-sinistro-montante: “Depressissimo”, che devo dividere in due parti.

Nella prima parte riassume perfettamente la mia depressione rap-musicale: “I rapper che ti piacciono sono scarsissimi, fare i soldi è l’unico loro talento artistico”.

La seconda parte non posso descriverla, mi tremerebbero le mani, devo citarla fedelmente:

Un giorno stavo solo, ho scritto alla mia depressione. Ho riordinato casa ed ho comprato un buon vino. Ho messo un’attenzione unica per essere carino. Ho preso una camicia nuova, in un negozio qui vicino. Ho cucinato per due, ho parlato per due, Le ho versato il vino, le ho passato l’erba. Ho bevuto per due, ho mangiato per due. Tanto che sembravo un’idra che parlava ad un’ameba.

Il mio problema, con questa strofa, è che disegna il quadro di una serata che io ho vissuto decine di volte. Quando l’ho sentita la prima volta, mi sono girato a controllare che non ci fossero le telecamere e non fossi il protagonista di una sorta di “Truman Show”. Ancora oggi non sono completamente convinto che non sia così.

Pezzo dopo pezzo, colpo dopo colpo, tra un “D.A.R.K.N.E.S.S.” e un “Giocattoli”, sono riuscito, finalmente, a rincasare.

Ormai accasciato sul mio letto, ho pensato, vista l’ora, di ascoltare un ultimo pezzo e concedermi alle braccia di Morfeo.

Rancore, capendo che gli stavo offrendo il fianco al colpo di grazia, ha colto l’occasione per finirmi con decisione, tirando fuori un “La morte di RINquore”. Alle prime note, ho capito subito che avrei pianto. Non me ne vergogno: l’ho fatto, ma giusto “5 lacrime, poco di più”.

Non ve ne parlo, voglio che l’ascoltiate. Vi consiglio quindi di dare una possibilità a questo rapper/cantautore, che magari vi stropiccerà un po’ l’anima, ma che di certo vi ricorderà di averne una.

Vi saluto, con il colpo di grazia:

Nera, la prima lacrima la voglio enorme. La seconda, sincera come una bimba che dorme. La terza con la rabbia, la quarta a naso chiuso. La quinta nel silenzio di una donna con il muso. Vedi, la prima ti accarezzerà la faccia. La seconda lascerà una striscia nera sulla guancia. La terza è piccola come una stella. La quarta è come sabbia. La quinta poi ti muore sulle labbra.

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