Jordan fece le scarpe al Black Power? Parliamone!

“Anche i repubblicani comprano le scarpe” è stata la frase con cui Michael Jordan ha fatto le scarpe ai “fratelli” neri? Me lo sono chiesto!

Attenzione, disclaimer: in questo articolo userò molto spesso la parola “nero”, se vi arreca fastidio immaginate ci sia scritto “glicine”… Insomma: “Michael Jordan era il campione glicine” suona bene, no? Andiamo avanti!

Recentemente mi sono appassionato alla serie “The Last Dance“, disponibile su Netflix, basata sulla storia di Michael Jordan e dei Chicago Bulls degli anni 80/90.

È una serie ricca di spunti nostalgici, per chi, come me, in quegli anni era un ragazzino che sognava l’NBA, pur essendo totalmente negato nel Basket e privo di ogni traccia di coordinazione motoria.

Sono rimasto molto affascinato dalla notizia che il campione n.23 fosse, inizialmente, considerato “troppo basso” per giocare da professionista: era alto SOLO 1,98 metri, rispetto ai 2,10 di media del campionato.

Altro aspetto interessante è che, diversamente da quanto si crede, Jordan era sì la punta di diamante della squadra, ma non certo l’unico gioiello della corona.

Come nel Napoli di Maradona, infatti, un singolo campione non avrebbe mai potuto compiere alcune impresa. Jordan nei Bulls, come Maradona nel Napoli, poteva e DOVEVA contare su compagni di squadra di un livello eccezionale e su uno spogliatoio affiatato:

NESSUNO può riuscire in nulla DA SOLO, nessuno sta bene da solo, nessuno è “qualcosa” da solo!

Questa, però, è solo un’introduzione, per spingervi a recuperare una docuserie interessante.

Il centro del discorso che voglio affrontare si basa sulla quinta puntata della serie, il cui tema è il rifiuto, da parte di Jordan, di schierarsi in materia politica e civile.

Nulla di male, in fondo. Questione di scelte di vita.

Io, di base, non sarei d’accordo, essendo convinto che un personaggio pubblico, che dalla propria fama riceve privilegi e ricchezze, dovrebbe restituire un po’ di fortuna sotto forma di impegno civile.

La mia, tuttavia, è una convinzione anomala, perché capisco anche che uno sportivo possa volere dedicarsi solo alla propria attività principale, senza impegnarsi in faccende di cui non si sente in grado di occuparsi.

In sostanza, quindi, per me un personaggio pubblico dovrebbe impegnarsi nel sociale, ma se non lo fa non lo metto alla gogna.

Discorso non cambia per Jordan, ovviamente, perché dovrebbe? Eppure un tarlo mi gira nei pensieri, partendo da quella frase: “Anche i repubblicani comprano le scarpe”, che vuol dire? Contestualizziamola!

Era l’anno 1990, Jordan e i Bulls erano all’apice della loro fama e il n.23 era il testimonial della NIKE, che grazie a lui era passata dall’essere una azienda di medio mercato a detenere il quasi monopolio delle sneakers negli USA.

Insomma, attorno ai bulls e a MJ giravano un sacco di bei dollaroni!

Contemporaneamente, nel Nord Carolina, stato d’origine del campione nero (glicine, se preferite), era in pieno fervore la campagna elettorale per il rinnovo del Senato. Il popolo glicine (nero, se preferite) era molto eccitato per queste elezioni, perché per la prima volta un uomo di colore (scegliete voi quale), tale Harvey Gantt, aveva la possibilità di ambire ad un seggio. Sarebbe stato, se eletto, il primo senatore afroamericano della storia USA.

Insomma, da una parte c’erano i bei dollaroni, mentre dall’altra i diritti civili: due cose che non sono mai andate d’accordo.

Michale Jordan era il personaggio del momento e tutti sapevano che una sua parola avrebbe potuto spostare l’ago della bilancia: tutti, perfino la madre, chiedevano a MJ di schierarsi!

Il campione, però, decise di non farlo. “Ammiro Muhammad Ali per il suo impegno civile, ma a me interessa solo il basket”, aveva risposto più volte ai giornalisti.

Che c’è di male? Uno sportivo che vuole fare solo lo sportivo non dovrebbe destare alcuna polemica, eppure non fu così.

Jordan non era solo uno sportivo e quella non era solo politica: lui era un simbolo e quella era l’occasione per il riscatto sociale che tutto un popolo attendeva da troppo tempo.

Alla fine, messo alle strette, rispose con questa famosa frase incriminata: “anche i repubblicani comprano le scarpe”!

La versione ufficiale è che stesse scherzando, che fosse il suo modo di avere l’ultima parola in una competizione verbale. MJ, infatti, viveva la vita agonisticamente, come se tutto fosse una gara e si dice che quella frase fosse la sua “schiacciata a canestro” al termine di un lungo botta e risposta con la stampa.

Ci può stare: un’uscita giudicata spesso infelice, ma senza dubbio ad effetto! Io, però, alla versione dello scherzo non credo: non mi convince, almeno non del tutto.

Posso credere che lui fosse convinto di “prendersi il punto” con i giornalisti, ma non che era solo uno scherzo.

MJ era il volto di una campagna mediatica da milioni di dollari, decine di milioni, forse centinaia. Il fatto che anche i repubblicani comprassero NIKE era vero: è così improbabile che qualcuno abbia pensato che schierarsi in quella battaglia politica avrebbe potuto far male agli affari?

Lo ripeto: da un lato c’erano i diritti civili, dall’altro i dollaroni.

C’è da aggiungere che in quegli anni la NIKE era accusata di sfruttamento del lavoro minorile, nei paesi del cosiddetto “terzo mondo”, discriminante a mio parere di non poco rilievo.

La NIKE, che oggi ha cambiato il suo CLAIM in “Don’t do it”, in onore di George Floyd, non è stata sempre così attenta al politicamente corretto. C’è stato un periodo in cui ha perfino prodotto delle scarpe con la “Betsy Ross“, che è il nome comune della prima versione della bandiera americana (numero e disegno di stelle, numero di righe) e che molti collegano al periodo dello schiavismo.

Non faremo il processo alle scarpe, anche perché c’è tutta una polemica sul se quella bandiera fosse o meno “razzista” e richiederebbe un intero altro articolo. È importante, però, chiarire che all’epoca lo si pensava e la NIKE non fu attenta ad evitare di “offendere” il popolo nero, anche se poi ritirò le scarpe dal mercato, ma solo dopo tante pressioni.

Quindi, ricapitolando, Michael Jordan aveva il diritto di non schierarsi politicamente, ma anche un bel po’ interessi economici.

Aveva il diritto di rifiutarsi, come chiunque altro ha il diritto di deprecare questa scelta.

Tornando ad oggi, viviamo giorni in cui si parla molto di “simboli” e MJ lo è innegabilmente! In quanto simbolo, la sua decisione di non appoggiare una causa così importante dovrebbe far pensare.

La serie “The last dance” è stata vista da 28.800.000. persone (ventotto milioni e ottocentomila), in pratica metà popolazione italiana: come mai non ho visto bruciare scarpe nelle piazze?

Se i simboli sono così importanti, mi aspetto che nessuno, tra quelli a favore del vandalismo delle statue, indossi mai più un paio di AIR JORDAN.

Se i simboli sono così importanti, mi aspetto che nessun frequentatore dei centri sociali di sinistra indossi mai più un paio di Adidas o di Puma, che sono marchi fioriti sotto il Nazismo.

Per la stessa ragione, voglio vedere orde di frikkettoni appiccare roghi di Maggiolini e di Furgoni a fiori, perché la Volkswagen è stata voluta dallo stesso Hitler.

Nessun cane dovrebbe mai più essere curato con antipulci della Bayer, in quanto questa casa creò lo “Zyklon-B“, ovvero il gas utilizzato per le camere di sterminio dei campi di concentramento.

Avete un telefonino della Siemens? Buttatelo! Avete ancora fotografie cartacee i ncasa? Strappatele, perché la Kodak è nata sotto il nazismo!

Vi consiglio di leggere questo articolo a riguardo: https://lorenzofabre.com/2018/04/30/naziende-i-marchi-famosi-nati-o-fioriti-sotto-il-nazismo/

Dove voglio arrivare? Che queste sono tutte CAZZATE!!!

Il maggiolino della Volkswagen, pur essendo nato in epoca nazista, ha col tempo cambiato il proprio valore simbolico, finendo per diventare la rappresentazione del’esatto opposto pensiero.

I simboli, per loro natura, “rappresentano” un’idea che è negli occhi di chi li guarda e senza di loro non varrebbero nulla.

Così, MJ poteva certamente spostare l’ago della bilancia e portare gli elettori del Nord Carolina a votare per il candidato afroamericano, ma non ne rappresentava la volontà: loro avrebbero potuto farlo anche senza l’endorsement di MJ! Perché non lo fecero?

La statua di uno schiavista è un simbolo del razzismo esistente nel mondo, solo perché quel razzismo esiste! Abbattuta la statua, il razzismo rimane!

Non bisogna, per mio modesto parere, abbattere le statue, bisogna cambiarne il valore simbolico: invece di rimuovere la statua di Indro Montanelli, possiamo lasciarla lì dov’è, insegnando però alle nuove generazioni a vederci qualcosa di diverso, non più in accezione positiva, ma negativa!

Io, al posto di MJ, mi sarei comportato diversamente, ma questo non avrebbe fatto di me un eroe e non fa di lui un traditore. Lui è solo un uomo che al quale, ad un certo punto della sua vita, il popolo ha chiesto di cambiare una storia che era già stata scritta!

Non sono i simboli a decidere la storia degli esseri umani, ma gli esseri umani a decidere i simboli della propria storia!

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