“Tu sei forte” è la frase che nel 2018 è diventata, progressivamente, il leitmotiv delle mie frequentazioni, eppure, ogni volta, me ne stupisco.
Solo un anno scarso fa, infatti, né io né chi mi conosceva avrebbe mai pensato, neanche lontanamente, di pronunciarla. Cosa è successo?
C’è stato un risveglio, indubbiamente, ad un certo punto di una lunga caduta, ma questo non bastava ad arrestarla, perché non si poteva arrestare.
Il fondo si avvicinava velocemente e con gli occhi aperti era facile intuire che lo schianto sarebbe stato tremendo e devastante, ma inevitabile: l’unica cosa da fare era cercare di rallentare la caduta.
Così, piantando bene mani e piedi sulle pareti di questo pozzo immaginario fatto di ogni sorta di negatività, sono riuscito ad atterrare dolcemente, in modo da avere ancora energie per guardare verso l’alto e rendermi conto di cosa era successo, di quanto era lontana l’uscita e di quanto difficile fosse la risalita.
Ero, tuttavia, salvo e vigile, quindi l’idea di restare nascosto sul fondo di un pozzo neanche mi sfiorava.
All’inizio, ricordo, fu dura: “il primo passo è sempre il più faticoso di tutto il cammino”.
Risalendo lentamente, ho avuto modo di vedere bene la sostanza di cui era fatto il pozzo: speranze spezzate, paure inventate, presunzioni che si scontravano con carenze di autostima, persone sbagliate, scelte sbagliate, abuso di alcol, insomma c’era di tutto un po’.
Sono scivolato, spesso, durante la risalita, a volte di qualche centimetro, altre di intere porzioni di percorso, ma ogni volta ho ricominciato, perché sapevo (e so) bene che stavolta non sarei riuscito ad attutire un altro colpo.
Oggi, mi dicono “tu sei forte”, ma pochi sanno davvero cosa costi questa forza: mentre risalgo, per non scivolare, evito deliberatamente di fermarmi ad esplorare le pareti, mi lascio dietro esperienze, persone ed idee, al minimo sospetto di instabilità.
Cerco appigli sicuri, che siano per attaccarmici un secondo o per fermarmi a riposare, gli altri li lascio alle spalle, con la conseguenza che non saprò mai, davvero, se e quanto erano pericolanti.
Io non sono forte, ma solo fortificato, perché ormai la risalita è andata troppo oltre e se cadessi adesso sarebbe fatale.
Per le stesse ragioni fin qui esposte, non accetto compagni (specialmente compagne) di scalata, almeno non quelli che non hanno davvero voglia di arrivare in cima, di “uscir finalmente a riveder le stelle”.
I compagni e le compagne che cerco devono avere la mia stessa determinazione a lasciarsi alle spalle ogni complicazione del cammino, a quel punto potrebbero essere anche per la vita.
Potrei riassumere tutto con il ritornello di una canzone a cui sto lavorando con il caro amico “Prof G“:
Quando hai poco da puntare, perché hai già puntato troppo precedentemente, punti tutto, oppure niente!
Ecco, io posso puntare solo il tutto, se sospetto che ne valga la pena, perché quel tutto è così poco da non poter essere divisibile: se non ho l’evidenza che la pena non valga, allora penso “punto al prossimo giro”… Ogni volta è il prossimo giro.
Io risalgo, sempre più sicuro nel passo e, fidatevi, sono disposto anche a camminarvi addosso, se vi lasciate cadere avanti a me. Se, invece, avete voglia di arrivare all’uscita, allora potrei perfino trascinarvi per un po’, ma non in eterno: vi lascerei cadere appena diventereste un peso troppo rischioso da trasportare.
Camminami accanto, seguimi, conducimi, oppure vattene.
PS: La risposta alla domanda è “Sì, qualcuno di specifico potrebbe esserci, ma non sembra sarà”
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