Solo altre mani

Guardo le mie mani e ne riconosco i solchi,

le cicatrici dei pugni contro ogni muro.

Osservo i palmi, ricordando il bruciore

di quanto hanno stretto, tirato, trainato e spinto.

Ogni unghia conserva il ricordo rosicchiato

di troppe impazienze, attese ed insicurezze.

Vedo i calli delle corde e quelli della penna:

rimpiango soltanto non siano più grandi.

Immagino le mie mani staccarsi da terra,

un istante prima del primo passo: “ora cammino”.

Ricordo il suono di un applauso ad un concerto,

l’umidità della sabbia d’agosto, in una notte lontana

e l’esitazione su una maniglia, in una mattina vicina.

Spingo una mano in avanti, l’altra la blocca:

non c’è nulla da afferrare, almeno non ora.

Guardo le mie mani, le studio, le osservo, le giro:

sono vuote, solo altre mani potranno riempirle.

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