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Perché andiamo nello spazio? Semplice: perché possiamo farlo!
Mi sono reso conto che è passato il 24 Aprile e non ho fatto, come di mia abitudine, gli auguri al telescopio Hubble.
È un’occasione che colgo, quasi sempre, per ribadire quanto sia stupida la teoria secondo la quale i soldi spesi in ricerca spaziale siano “sprecati”.
Sulla questione economica, ho già detto la mia nel post “24 Aprile: Buon Compleanno Hubble!“
Oggi, invece, lascio perdere il veleno e recupero un po’ di sogni, perché ogn intanto ce n’è bisogno.
Vi invito a immaginare, con me, un gruppo di primitivi uomini, di donne e di bambini, in una zona remota dell’Africa primordiale, centinaia e migliaia di anni fa, riuniti in circolo, attorno al fuoco, appena fuori dalle loro capanne: sulle loro teste, immenso, si apre un cielo stellato, non ancora corrotto dalle luci delle città.
Il mondo, per i nostri antenati primitivi, era ancora tutto da scoprire e di certo non avrebbero mai immaginato che, un giorno, un loro discendente sarebbe arrivato addirittura a camminare su quella grande palla luminosa, che illuminava la maggior parte delle loro notti.
Non potevano immaginare la vastità dell’universo, ma neanche quella del nostro minuscolo pianeta, eppure, un po’ per necessità e un po’ per curiosità, un giorno qualcuno decise di spostarsi, in cerca di una caccia migliore o di una natura più generosa.
Da quel momento, non smisero più di farlo, anche quando qualcuno “inventò” l’agricoltura, smettendo di raccogliere semplicemente quello che trovava in natura. Anche quando qualcuno capì che gli animali si potevano anche allevare, oltre che cacciare.
Gli esseri umani continuarono a spostarsi, anche quando il loro stile di vita non lo rendeva più necessario, ma anzi suggeriva di restare fermi in un solo luogo.
Così, nel giro di “poco” (relativamente alla storia umana), queste scimmie evolute (quali siamo) hanno colonizzato l’intero pianeta.
Certo, oggi ci guadiamo intorno ed è facile pensare che questa sia stata la più grande catastrofe per il pianeta, ma questo non vuol dire che non sia accaduto!
Come abbiamo detto, sappiamo che l’essere umano ha cominciato a migrare, per necessità. Perché, tuttavia, non ha più smesso di farlo?
Io penso che sia stato a causa di una sorta di memoria primordiale, che ci ha spinto, secolo dopo secolo, a ricordare proprio quell’antica necessità e cercare una vita migliore.
“Chissà se dietro quella montagna ci sono pascoli migliori”, “chissà, se oltre questo mare c’è una terra più fertile”, tutto gira sempre attorno a una grande “chissà”!
Non è solo questa, però, la ragione che ci ha portato oltre le montagne, i deserti e gli oceani: fondamentale è stata l’attrazione verso l’ignoto, la nostra insaziabile sete di conoscenza e l’innato istinto a superare un confine immaginario.
Senza quella curiosità, nessuno avrebbe mai mosso un singolo passo.
Immaginate, di nuovo, quel gruppo, attorno a quel fuoco. A un certo punto, uno di loro, il più giovane, chiede agli altri cosa, secondo loro, possa esistere dietro la grande montagna sacra. Gli altri gli rispondono che non c’è nulla, che il mondo finisce lì e che chi c’è stato non è più tornato.
Quel ragazzo, allora, il giorno dopo decide di andare a vedere e s’incammina verso la montagna. Arrivato in cima, si rende conto che il mondo non finisce, ma che invece continua, fin dove lo sguardo si perde.
Per un attimo, ha la tentazione di continuare, ma poi pensa che è suo dovere tornare indietro, per raccontare agli altri cosa ha visto: in quel momento, nacque il primo “esploratore”.
Si rende conto che, in realtà, nessuno è mai tornato indietro, perché tutti sono andati avanti e che la loro scoperta era sempre rimasta lì, su quella cima!
Il ragazzo, quindi, torna al villaggio e racconta tutto: qualcuno non gli crede, ma altri decidono di seguirlo e scoprono un “nuovo mondo”.
Un esploratore, in fondo, è qualcuno che arriva fin dove gli altri non osano e poi torna indietro, per svelare che, in realtà, quel limite era solo nelle loro menti.
Così, guardando i mari immensi, i nostri antenati hanno costruito zattere, canoe, barche e poi intere flotte.
Allo stesso modo, noi, oggi guardiamo il cielo e impariamo a costruire razzi, navicelle e stazioni spaziali.
Lo facciamo perché, dentro di noi, è ancora presente e viva la memoria arcaica di quel fuoco, tra le capanne, mentre ci interrogavamo su cosa ci fosse oltre la montagna, il cielo e il mare.
Questo spiegherebbe perché siamo molto più attirati dal cielo, che dalle profondità della terra: in fondo veniamo dalle caverne e il nostro istinto e di uscirne!
La risposta migliore, quindi, quando ci chiedono perché “sprechiamo” tanti soldi in ricerca spaziale, è che lo facciamo perché siamo umani e che, per natura, siamo nomadi ed esploratori.
Noi non stiamo “sprecando” soldi, ma stiamo investendo nelle nostre radici comuni!
Sono radici antiche, risalenti a un tempo in cui non esistevano distinzioni di razza, confini politici e disparità sociali.
Sono radici talmente antiche, che ne stiamo perdendo la memoria, ma di cui ci torna un lontano ricordo, quando guardiamo la Terra dallo spazio.
Dallo spazio non si vedono i confini politici, che qualcuno ha disegnato su una mappa, artificialmente e convenzionalmente.
Dallo spazio si vede solo la Terra, così come vuole essere, ma di notte, quando si illumina, il ricordo torna più forte.
Il fuoco nel campo, simbolo dell’ingegno umano, si riaccende, più vivo che mai.
Le capanne si sono trasformate in palazzi, le fiamme in lampadine e le canoe in potentissimi razzi, ma noi restiamo ancora quel gruppo di primitivi uomini, donne e bambini, che si chiede cosa possa mai esistere, dopo quella montagna di stelle, chiamata universo.
La nostra speranza, in fondo, è che dietro la montagna ci sia ancora un’altra montagna, per poter essere ancora curiosi e avidi di scoperte!
Siamo umani, siamo Esploratori e Nomadi e non sapremmo far altro, lasciatecelo fare!
Photo de Andrew Neel provenant de Pexels