Mi mancano le foto con gli occhi rossi!

[Tempo di lettura stimato: 9 minuti]

“Vivi qui, vivi oggi, vivi ora”, bel concetto vero? Ne siete sicuri? Secondo me, non sempre!

Mi spiego meglio: come al solito e come sempre, è l’eccesso che trasforma in sciagure anche le cose più belle.

DISCLAIMER: in questo post sarò molto “ai miei tempi”, ora lo sapete e stica!

Avete notato come la nostra società si sia ridotta a vivere di fotogrammi? Se non lo avete fatto e non state solo facendo finta di non vedere, mi chiedo dove abbiate vissuto negli ultimi anni, così magari mi ci trasferisco!

Il concetto di “vivi ora” dovrebbe spingerci a godere della vita in ogni suo istante, come quello di “carpe diem” dovrebbe insegnarci a trarre il meglio da ogni singola occasione.

Noi, invece, siamo stati capaci di ridurre tutto a “conta solo l’istante”, anche se sappiamo tutti che non può essere così.

Io ho una mia teoria, ma vi ci porterò per gradi.

Partiamo dal più banale degli esempi: i social!

Perché sono nati i social? Per avvicinare le persone, per farle comunicare e magari per condividere dei ricordi. Tutto molto bello, in teoria!

Uno dei più famosi è Instagram, che è nato per essere una specie di album fotografico. In fondo, pensiamoci, cos’è una foto, se non la cattura di un istante?

Dietro quella foto, però, ci dovrebbe essere una storia, che oggi è scomparsa.

I più maturi di noi ricorderanno, di certo, i tempi in cui si andava in gita con la scuola o in vacanza, si scattavano foto e poi ne si attendeva lo sviluppo, solo con lo scopo di poterle poi mostrare ad amici o parenti.

Dietro tutto questo processo, c’erano due costanti, imprescindibili: il numero di foto era limitato e finiva sempre con un lungo racconto di ognuna.

Avevamo rullini da 12, 24 o al massimo 36 foto. Sceglievamo, attentamente, il momento e l’angolazione. Controllavamo la posizione del sole, quanta luce ci fosse nella stanza. Facevamo tutto questo per non sprecare neanche una foto, quindi neanche un ricordo.

Stavamo attenti, anche perché lo sviluppo COSTAVA!

Quando, poi, avevamo tra le mani il nostro album e lo mostravamo a quelli con i quali volevamo condividerlo, ogni scatto era corredato da una lunga serie di “qui eravamo”, “qui stavamo andando” o “qui venivamo da”.

Anche chi non era nella foto, spesso finiva nel racconto: “qui lui/lei non c’era, perché”!

Le pose buffe, gli occhi rossi, il dettaglio fuori posto non erano un problema, perché avevamo poche foto e contavano solo il ricordo e il racconto, quindi ti accontentavi di come venivano.

Anzi, diciamocela tutta, le foto venute male erano quelle che avevano anche più storia da raccontare!

Quelle erano le foto che finivano in una cornice, sulle mensole di casa! Oggi cornici ne abbiamo?

Dettaglio da non sottovalutare: non avevamo la possibilità di dire “fammi vedere come sono venuto”, perché bisognava attendere lo sviluppo e quanto era lunga e bella quell’attesa!

Cosa accade oggi, invece, con l’infinita possibilità di scatto, di filtri e di ripensamenti?

Il racconto si è perso, riducendosi molto spesso a frasi d’effetto, magari scopiazzate dal web e che tante volte neanche si accostano molto alla foto.

Scattiamo, controlliamo, riscattiamo! Ogni volta allestiamo un micro-set, stando attenti a ogni minimo dettaglio e alla fine non resta più nulla da raccontare, perché sarebbe pura fiction!

Analizziamo qualche categoria, partendo da quella che, ogni volta, mi fa più ridere: i “lettori accaniti” o sedicenti tali!

Avete mai notato che la maggior parte delle foto di gente che legge un libro sono perfette? Butto lì uno scenario immaginario, ma non troppo: la tazza di caffè o di té sul letto, le pieghe delle lenzuola perfettamente allineate, i pasticcini nel piatto, il libro accuratamente aperto esattamente al centro. Vi sembra realistico?

Una persona che ama leggere sa bene che non lo è! La tazza non l’appoggi sul letto, perché si rovescerebbe, nei continui cambi di posizione. I biscottini sarebbero l’intero pacco, aperto alla cazzo di cane (semicit.) e il libro sarebbe l’esatto opposto della perfezione. Le pagine di un libro usato non restano tutte compatte, se le hai lette e quindi sfogliate!

Altra categoria stupenda è quella “sport e affini”. Io non frequento palestre, ma mi chiedo spesso se le persone ci vadano davvero per allenarsi, oppure entrino giusto un minuto per fare la foto e poi uscire. Una persona che fa sport, specie una così fissata da postare ogni giorno una foto, mentre si allena, me la immagino stanca, sudata e logora di fatica.

Qualcuno potrebbe dirmi che quella foto viene fatta all’inizio dell’allenamento, ma in quel caso, per me, sarebbe ancora peggio: se io amo fare qualcosa non la ritardo neanche di un secondo e di certo non per farmi una foto!

Vi invito a pensare a una categoria di postatori seriali, magari suggeritemela nei commenti, perché penso ce ne siano davvero tante!

C’è gente che non inizia a mangiare, se prima non fotografa il piatto!

C’è gente non esce di casa, se non posta la foto dell’outfit allo specchio!

C’è gente, ahimé, che dopo aver scopato, prima si fa la foto di coppia (e la pubblica) e poi si accende la sigaretta… Ma state bene?

Ovviamente, ognuna di queste foto non ha alcun racconto, se non la solita frase motivazionale/intimista, rubata da qualche aggregatore di aforismi, trovato in Google.

A tal proposito, vorrei esprimere la mia vicinanza emotiva alla memoria di Alda Merini, che di certo non penso immaginasse i suoi versi utilizzati come didascalia a foto da maiala!

Perché, invece di quella frasettina, che neanche ti rappresenta, non mi racconti qualcosa? Dimmi cosa stai leggendo, perché hai scelto quel libro, chi te l’ha consigliato e in quale libreria l’hai comprato.

Il problema è che il racconto non solo non interessa più, ma molto spesso neanche più esiste.

Non conta leggere, conta la foto in cui si legge o almeno si finge di farlo.

Fai la foto in cui ti alleni, poi prendi l’ascensore per fare un piano.

Posti la foto di un piatto elaborato, ma non ti frega che per farla lo mangerai freddo!

Siamo passati dal racconto dell’istante all’istante senza racconto!

Carissimi postatori seriali, avete idea di quanti tramonti vi siete persi, mentre il Sole calava e voi stavate, invece, cercando il giusto filtro?

Quanti baci sono stati rovinati, mentre cercavate, con la coda dell’occhio, d’inquadrarli bene? Il risultato? Abbiamo TUTTI pensato che vi interessasse più l’inquadratura, che la persona che stavate baciando.

Questa continua ricerca dell’istante ha contagiato tutti, anche quegli ambiti che proprio non mi sarei aspettato. Parlo di quelle persone a me più vicine: cantanti, poeti, musicisti e artisti in generale.

Prendiamo i cantanti: hanno a disposizione un modo rapido e diretto per far ascoltare la propria voce e cosa fanno? Postano foto, in posa!

I poeti? Foto! Gli scrittori? Foto! Perfino i pittori, che sarebbero giustificatissimi, se postassero una foto delle proprie opere, cosa fanno? Foto di loro stessi!

Ormai gli artisti sono tali in quanto tali, non per la loro Arte!

Non finisce qui, purtroppo, perché il problema, ormai, non riguarda solo il modo in cui ci mostriamo, ma anche quello in cui ci relazioniamo!

La sete dell’istante è così forte, nelle nostre vite, da valicare i confini dell’immagine, per finire nelle discussioni, fuori e dentro il web!

Le idee, che dovrebbero essere supportate da valide argomentazioni, si sono tramutate in sentenze: “è così” non perché “c’è questa ragione”, ma perché “è così e basta” e “tu sei un coglione”!

Quando qualcuno esprime un’opinione, non ci sforziamo minimamente di capire da dove nasca. Quando c’è un problema, non ci impegniamo per arrivare alla radice. Viviamo tutto istantaneamente, tutto semplicemente “in superficie”.

Le conseguenze, come in questi giorni e in tanti passati stiamo vedendo, sono drammatiche, perché le soluzioni a qualsiasi problema si trovano solo scavando fino all’origine più essenziale dello stesso, altrimenti sono palliativi!

Noi siamo la società che, in nome del “qui e ora”, dimentica di godersi esattamente quello che accade “qui e ora”.

Noi siamo la società che, in nome della condivisione dell’istante, tralascia di testimoniarne il racconto.

Noi siamo la società che, così fiduciosa nel proprio presente, sta puntando tutto il suo futuro contro se stessa: perderemo, in ogni caso!

Qual è, tornando all’inizio, la mia teoria? Semplice: viviamo di promesse!

Sì, di mere e passeggere promesse, senza preoccuparci tanto che, poi, vengano mantenute!

Promettiamo, a chi ci segue, che stare con noi significhi una vita fatta di quello che mostriamo, ma poi non è così!

Noi siamo come quei politici (ok, come TUTTI i politici) che promettono interventi qui e lì, per poi dimenticare tutto, una volta presa la poltrona: le nostre bacheche sono in continua campagna elettorale.

Il problema è che quelle promesse non possiamo mantenerle, perché possiamo anche mostrarci sempre festaioli, oppure sempre impegnati, oppure sempre attivi, ma poi non riusciamo a esserlo, perché nessuno può esserlo!

Anche l’intellettuale più intimista può, almeno una volta, avere un momento di sana frivolezza. Anche l’atleta più disciplinato può, almeno una volta, concedersi un po’ di meritata pigrizia!

Le nostre bacheche non possono rappresentarci, perché racchiudono istanti selezionati delle nostre vite, che però sono fatte, per la maggiore, di tutti quelli che scartiamo!

È ciò che non mostriamo che, vi piaccia o meno, fa di noi quello che siamo davvero!

Se qualcuno di voi è arrivato a leggere fin qui, allineando, uno dopo l’altro, tutti gli istanti necessari, allora forse ho la speranza che la preghiera che sto per fargli abbia la possibilità di essere ascoltata!

La prossima volta che vi trovate a guardare un tramonto, non fotografatelo: guardatelo, ammiratelo e poi raccontatelo a qualcuno.

Quando mangerete qualcosa di buono, non ditecelo con una bella e fredda foto, ma descrivetecelo nei dettagli, fateci sentire i sapori!

Viviamo nel pieno della più grande rivoluzione tecnologica mai conosciuta, un mondo in cui le possibilità di comunicazione sono infinite: non sprechiamole con uno scatto occasionale.

Un giorno, vi svelo un segreto, ma non ditelo in giro, moriremo tutti. Sì, anche voi! Quello che però, sopravviverà, sarà il ricordo che abbiamo lasciato.

Abbiamo, quindi, una scelta: vogliamo che quel ricordo sia quello che abbiamo raccontato o quello che abbiamo attentamente filtrato? Vogliamo che la gente ricordi la nostra vita o un singolo momento di essa?

Questo non vuol dire che vi stia chiedendo di non scattare o postare più foto, ma semplicemente di dare loro un valore, un sotto-testo, un racconto che possa trasmettermi le vostre emozioni.

Se necessario, voglio vedervi brutti, sudati, affaticati. Voglio vedere le briciole dei biscotti sulla coperta e le pagine stropicciate dalle mille riletture.

Preferisco sentirvi stonare, che vedervi in posa mentre cantate!

Voglio vedervi così come siete: imperfetti, perché la Vita, se vissuta, è imperfetta!

Devo confessarvi una cosa: vi ho mentito, poco fa, rispetto alla scelta che abbiamo! La scelta, in realtà, non c’è!

Chi non tiene a voi adesso, non lo farà neanche dopo e si preoccuperà, al massimo, di pescare una delle vostre foto profilo e ricordarvi, velocemente, con un post alla memoria, che parlerà più di se stesso che di voi.

Chi, invece, tiene davvero a voi, avrà in galleria anche una vostra vecchia foto, una di quelle che vi sono sfuggite e che magari non ricordate: sarà quella foto a rappresentarvi, nei suoi ricordi e molto probabilmente neanche sarà pubblicata.

Quella foto non sarà per niente perfetta, ma vi ritrarrà esattamente come siete: umani, difettosi e magari, tecnologia canaglia permettendo, con gli occhi rossi!

È di quella foto che dovete essere orgogliosi, perché quella foto vi racconta e vi racconterà per sempre, rendendovi immortali!

Vivete qui, quindi, vivete adesso e oggi, se vi rende felici: siete liberi di farlo!

Vivete pure l’istante, se volete, ma per favore VIVETELO DAVVERO!


3 pensieri su “Mi mancano le foto con gli occhi rossi!

  1. Guarda, ci terrei a raccontarti una mia esperienza: sono una ragazza di 20 anni e non ho Instagram. Come mai?
    Mi ero iscritta a questo social alla bellezza di 13 anni. E al tempo le cose erano molto diverse rispetto a oggi. Instagram era usato davvero per condividere, conoscere e confrontarsi. E infatti ho avuto la possibilità di stringere legami con persone, che oggi sento ancora.
    Però la dinamica dei social media è cambiata velocemente. Instagram è diventato lo specchio di una società sola e infelice. Tutti puntiamo a cercare la felicità, ma lo facciamo paragonandoci costantemente alle altre persone. Mettiamo che persona A è nella sua casetta, tranquilla, a vedere Netflix. Poi entra su instagram, vede che B è andata a farsi una vacanza a Miami, ed ecco che parte quella sensazione di invidia (e ci tengo a sottolineare che in Italia l’invidia è un grande problema), frustrazione e Infelicità. Perchè A poteva essere contentissima di stare a casa sua, e magari non ha nemmeno i soldi per permettersi la vacanzona, ma se B ci è andata e dalle foto sembra così felice, vorrà dire che A è in difetto. Al giorno d’oggi le persone si sforzano di pubblicare foto perfette, ci tengono a sottolinare e a mostrare a tutti che anche loro fanno quelle cose, che anche loro hanno glutei di marmo e soprattutto che anche loro sono felici. Ed ecco che ha 16 anni, di vedere centinaia di stories tutte uguali tra aperitivi, discoteca, mare ecc. mi ero sfracellata i maroni. E non nascondo che anche io mi ero chiesta “eppure sembrano tutti così felici in quelle foto, forse sono sbagliata io?”. Però per fortuna l’omologazione non è mai stata il mio forte, e nemmeno una volta nella vita sono scesa a compromessi su chi sono. E devo dire che, dopo aver disinstallato il social in questione, mi sento immersa nella vita più che mai. E davvero ho imparato ad apprezzare a fondo tutto quanto.

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    1. Capisco bene il tuo punto di vista, io non sono così estremo da tenermene del tutto fuori, forse perché anche io faccio parte del problema (chissà). La verità è che per un lungo periodo ho sofferto di dipendenza da social e che “disintossicarmi” è stata davvero molto dura. Oggi cerco di averne un uso “sano” e non compulsivo, anche perché per lavoro sono costretto ad averci a che fare.
      Hai colto un aspetto, però, che io non ho trattato: l’emulazione! Sono assolutamente d’accordo!
      Vedo tante persone così impegnate a imitare la vita altrui, da dimenticarsi della propria. È molto triste e ammiro che alla tua età tu lo capisca, mentre tante persone della mia (ne ho il doppio) ne sono del tutto inconsapevoli.

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