[Tempo di lettura stimato: 7-8 minuti]
L’espressione “un passo avanti” è comunemente accettata come immagine di un miglioramento, ma siamo sicuri sia proprio così?
Quante volte, invece, sarebbe necessario l’esatto contrario, ossia “fare un passo indietro”?
L’idea del “camminare” ha sempre fatto parte della mia scrittura. Il “passo”, come “il vento”, “il tempo” e “la battaglia”, è una delle mie ossessioni letterarie, che ritorna ciclicamente, sia nei versi che nella prosa.
Qualche anno fa, scrissi una canzone, che però non ha trovato una quadra, fino al primo lockdown del 2020, quando con due amici abbiamo deciso di farne un live a distanza.
“Un passo ancora” (video qui) è uno dei miei testi preferiti e nella mia testa ho sempre immaginato che quel passo dovesse essere in avanti, parlando di fuga, di rivalsa e di rinascita.
Eppure, ieri sera, mentre riguardavo il film “Tenet” di Nolan, ci ho ripensato.
Per quelli tra voi che non lo hanno visto, non farò spoiler, diciamo solo che ci sono delle persone che, a un certo punto, camminano all’indietro.
La verità è che, in qualsiasi altra occasione, per me sarebbe stato solo un bel film, ma ieri ero in uno di quei giorni in cui sei disposto a metterti in discussione e così è stato.
È bastato un dubbio: la canzone, conteneva la parola “AVANTI”? Io ho una pessima memoria per i testi!
Sapevo di certo che il titolo, all’inizio, era “Un passo avanti”, poi sostituito da quello attuale. Nel testo, invece, ero proprio sicuro che comparisse?
L’avevo riascoltata solo due sere prima con due amici e mi sembrava proprio di sì!
Per togliermi il dubbio, ho riletto il testo e cosa ho scoperto? La parola “avanti” non c’era!
Questa cosa mi ha stupito, perché ero sicurissimo ci fosse! Ero sicuro di aver parlato del tema del cammino come “avanzamento”.
Così, invece, non era e da lì ho capito anche un’altra cosa: già il solo cambio di una parola nel titolo era stato “un passo indietro”. No?
Controllando meglio i miei appunti, anche qui sul blog, ho poi scoperto che in alcune versioni precedenti quella parola compariva.
Una canzone scritta da me e della quale, quindi, avrei dovuto conoscere ogni minimo particolare, si stava rivelando una scoperta: è bastata una parola, omessa, per cambiare tutto il significato!
Il fatto che questa consapevolezza sia giunta guardando un film è curioso, perché la stessa canzone era nata guardandone un altro: “The Walk“, un film, che vi consiglio, del 2015, su un funambolo che decide di tendere un filo tra le due Torri Gemelle, appena costruite, per poi tentare la traversata.
Il film è tratto da una storia vera, quindi non è spoiler dirvi che, alla fine, l’impresa riesce.
Bene! Sapete cosa fa il funambolo, una volta giunto dall’altra parte? Si gira, torna indietro e ricomincia!
Il funambolo, che aveva ispirato la canzone, TORNA INDIETRO! Lo fa per prolungare di qualche minuto ancora il gusto di aver realizzato un sogno: io lo avevo completamente rimosso, per me contava solo l’avanzare!
“Avanti”, perché per progredire bisognerebbe andare per forza avanti?
Io ero già a un alto giro di grappa e quindi ho cominciato a ricamarci sopra.
Penso che l’ossessione per l’andare avanti derivi da qualcosa di molto semplice, legato alla nostra infanzia: quando abbiamo imparato a gattonare e poi a camminare, lo abbiamo fatto in avanti, ma non possiamo restare bambini per sempre, dobbiamo crescere ed esplorare nuove direzioni!
“Sempre avanti” dicono i condottieri, giusto? Beh, no! Non se l’esercito è sull’orlo di una scarpata!
Certe volte, nella vita, bisogna anche tornare indietro, che non vuol dire per forza regredire, ma magari solo cambiare strada.
“Un passo indietro” può essere la soluzione migliore in tantissime situazioni.
Può significare “prendere le distanze”, allontanarsi da un’ideologia, un contesto sociale, uno stile di vita o semplicemente da una persona.
Può significare anche “stare un passo indietro”, rispetto a qualcun altro.
Generalmente quando diciamo che stiamo un passo indietro, intendiamo che abbiamo una deficienza, ma non è sempre così.
Nelle gare di Maratona, ad esempio, come nel Ciclismo, gli atleti si alternano in continuazione alla guida dei gruppi: uno sta avanti e prende il vento, gli altri stanno dietro e ne approfittano della scia. A un certo punto quello che sta avanti passa in coda e così via, spingendo la fuga a turno.
Stare indietro, in questo caso, vuol dire prepararsi al proprio turno di essere il leader, concedendo a qualcun altro, spesso avversario, la propria fiducia sulla guida del gruppo.
Detta così, non sembra più un handicap, no?
Cambiamo contesto, andiamo al museo: ci troviamo di fronte a una tela immensa, che facciamo, per ammirarla meglio?
Esatto! Facciamo un passo indietro, anche più di uno, se necessario!
Se stiamo troppo vicini al quadro, non riusciremo mai a vederne il racconto completo. Mettendoci a distanza, invece, quei piccoli colpi di pennello, che poco prima erano solo solchi e gobbe di colore sulla tela, diventano un intero mondo in cui immergersi.
Per entrare nel quadro, insomma, dobbiamo camminare all’indietro.
Fare un passo indietro può essere sinonimo di resa, credetemi, lo so bene, ma può anche assumere un’infinita serie di significati positivi. Questo, sempre volendo considerare l’arrendersi come qualcosa di negativo.
Sì, perché anche rinunciare a una battaglia, molto spesso, può essere una cosa buona, specie se persa in partenza.
Volendo solo restare nell’ambito della metafora bellica, nel corso della storia si sono riempiti i campi, con i corpi di soldati impiegati in azioni insensate e senza la minima speranza di riuscita.
Una tipica tattica militare, ad esempio, è “il ripiego”: ritirarsi dalla battaglia per dare al nemico l’idea di aver vinto e farlo rilassare, per poi riattaccare, oppure per riprendere fiato e attendere i rinforzi.
Rinunciare al combattimento, insomma, a volte è l’unico modo per dare un senso alla lotta.
Aggiungiamo anche che “un passo indietro” può anche semplicemente indicare di aver cambiato idea su una qualsiasi cosa: capita raramente, perché siamo stupidi, cocciuti e orgogliosi, ma quando troviamo il coraggio di farlo ci ritroviamo arricchiti di una nuova e straordinaria consapevolezza.
Tornando alla mia canzone, quando ho omesso la parola “Avanti”, senza farci troppo caso, ho aperto nuove strade, che mi hanno portato, oggi, a fare questo ragionamento.
Cambiare idea, fare un passo indietro sulle proprie convinzioni, nella mia esperienza, è quasi sempre una cosa positiva.
Assodato che, quindi, “avanti” non vuol dire sempre “bene” e “indietro” non significa per forza “male”, è il caso, forse, di esplorare anche altre direzioni.
Fin qui, infatti, le nostre vite sembrerebbero agganciate a un binario, costrette a muoversi su una linea retta, in avanti o indietro, ma sappiamo che così non è!
Possiamo anche andare di lato, scansarci, farci da parte, metterci a margine.
Anche in questi casi i significati sono molteplici.
“Farsi da parte”, ad esempio, viene spesso identificato come un atteggiamento tipico della rinuncia, ma torniamo all’esempio di una battaglia, magari del 1800: la prima fila di fanteria si fa da parte, per ricaricare e permettere alla seconda di fare fuoco.
“Farsi da parte”, in questo caso, è solo un momento di una strategia più ampia.
Risulta più facile capirlo, se si considera il movimento laterale come “scansarsi”: evitare un pugno o un treno, non mi sembrano rinunce così negative!
Quando siete in auto e sentite, alle vostre spalle, arrivare un’ambulanza, se siete persone civili, cosa fate? Vi fate di lato, per lasciarla passare.
Avete mai pensato che, senza saperlo, quel piccolo movimento ha potuto salvare una vita?
All’improvviso, mentre eravamo dei bambini che vanno solo in avanti, ora siamo degli adolescenti che sanno spaziare sul piano orizzontale.
Per diventare uomini e donne, però, c’è bisogno di altro: dobbiamo imparare a muoverci in verticale!
“Sopra” e “Sotto” sono comunque due direzioni, non sarebbe giusto snobbarle.
Anche in questi due casi, abbiamo pregiudizi: “sopra” è comunemente inteso come qualcosa di bello, mentre “sotto” qualcosa di brutto.
Sì, ok, ora stiamo tutti pensando al sesso e siamo sicuramente d’accordo sul fatto che “sotto” ha le sue qualità positive.
Visto? Ci siete arrivati anche da soli, inutile fare altri esempi… No, dai, facciamone almeno un paio, sennò mi dicono che penso sempre al sesso.
“Stare sotto” spesso viene percepita come sottomissione, ma se ci fosse un terremoto voi cerchereste di ripararvi sotto un tavolo e in quel momento è salvezza!
Stare “sopra” a volte indica una posizione di predominanza, ma a nessuno piacerebbe essere in cima, se si trattasse di una lista delle persone da licenziare.
Certo, è innegabile che questi movimenti possono avere decine d’intenzioni e conseguenze negative, è l’altro lato della medaglia: bianco e nero, bene e male, positivo e negativo sono sempre coesistenti, come alternative.
La domanda è: solo per il fatto che un passo possa essere quello sbagliato, dovremmo rinunciare a farlo?
Non lo so se sia giusto o meno, ma so che fa parte di noi!
Esiste, infatti, un sesto movimento, del quale non abbiamo parlato: quello negato!
STARE FERMI è di per se una scelta: decidete, consapevolmente, di non muovervi… Il fatto che, di solito, sbagliamo la scelta non è qui rilevante!
Anche in questo caso, come negli altri, lo stereotipo è negativo: chi sta fermo non produce, “chi dorme non piglia pesci”!
A parte che chi dorme, magari, sta sognando, che è sempre una cosa bella, ma esiste anche il “riposo del guerriero”, che altri non è che un individuo che, fino a poco prima, si è mosso parecchio.
Oltre questo, stare fermi può volere anche dire attendere: aspettare che arrivino i rinforzi, che passi l’ambulanza, che il treno sia lontano.
Stare fermi può voler dire prendersi del tempo per ammirare quel quadro: ma prima di farlo bisogna muoversi e fare quel famoso passo indietro!
Insomma, per avviarci alla conclusione, mi pare ovvio che qualsiasi movimento non sia per se “buono” o “cattivo”, ma semplicemente funzionale a quello che intendiamo fare.
Come da titolo: la Vita è una danza!
Un passo avanti, due indietro, uno di lato, poi fermi, saltiamo, ci abbassiamo e poi ricominciamo!
L’esistenza stessa è un continuo susseguirsi di micro-movimenti che, uniti a quelli degli altri, danno forma a una meravigliosa coreografia di successi e tragedie, gioie e dolori, glorie e fallimenti.
NO, caro Shakespeare, la vita non è un palcoscenico e noi non siamo attori: siamo tutti ballerini e ballerine, che danzano, liberi di decidere i propri passi, per strada!
Se, poi, la Musica finisce e in giro non ci sono musicisti, poco male: noi danziamo anche sul silenzio!
Photo de Vijay Putra provenant de Pexels
Ho appena letto, che bravo…
"Mi piace"Piace a 1 persona
Thanks… Let’s dance!
"Mi piace""Mi piace"