Avevo una domanda che mi girava in mente da un bel po’, ossia da poco più di 39 anni. Ho trovato una risposta accettabile, da un vecchio eremita, che tale non è!
Chiariamo subito due cose: innanzitutto Giuseppe Spagnuolo, l’ultimo abitante di Roscigno Vecchia, non è né vecchio, né eremita. Secondo chiarimento: non vi farò la cronistoria della vita dell’uomo o della storia del paese. Potete cercarle in Google, che ne è pieno!
Io vi racconterò di un’esperienza, che penso mi abbia arricchito. Avevo una domanda da fare a quell’uomo e vi racconterò della risposta. La condividerò con chi vorrà riceverla, per tutti gli altri c’è questo link.
Sabato mattina (mattina molto molto inoltrata) mi sono svegliato con la solita domanda, alla quale cerco di trovare una risposta, ormai da tutta una vita.
Mi sono girato e rigirato, tra le lenzuola stropicciate, cercando una zona d’equilibrio tra l’afa della mia mansarda e la corrente del ventilatore, poi ho desistito.
Da qualche tempo avevo sentito parlare di un uomo: un “vecchio eremita”, detto “Garibaldi”, ultimo abitante di Roscigno Vecchio, un borgo fantasma a circa un’ora e mezza di auto da casa mia.
Ho sempre pensato che quell’uomo, in qualche modo, avrebbe potuto rispondere alla mia domanda.
Ci ho pensato su qualche minuto, tra il caffè e la sigaretta. Ho fatto il conto delle faccende casalinghe arretrate e poi ho deciso: “ok, vado!”
Ho preparato lo zaino con lo stretto indispensabile, vale a dire con le cuffiette ed una powerbank, ho controllato il percorso più conveniente e sono partito!
Sfortunatamente, il mio telefono sta perdendo colpi e si surriscalda se avvio musica e mappe insieme, quindi ho dovuto ascoltare l’unico CD che ho in auto per tutto il tempo. Poco male, è un bel CD.
Per strada mi sono fermato a mangiare in una tavola calda, all’uscita autostradale di Atena Lucana, prima di cominciare l’ultima parte di strada interna. Quando ho chiesto al titolare quali fossero le condizioni del percorso per Roscigno Vecchia, lui mi ha risposto, con sicurezza, che stavo andando “da Garibaldi”.
Mi ha spiegato che tutti si fermano lì, chiedendo del vecchio eremita, prima di continuare il viaggio. Ho capito che quell’uomo attira turisti come una vecchia scatola attira un gatto.
“Vai piano per strada, non è un granché. Goditi la vista: panorama di montagna, il gusto ci guadagna”, ha continuato l’oste, nel servirmi il caffè di fine pasto.
Ho messo consiglio e indicazioni in tasca, avviato il navigatore e sono ripartito. All’inizio non capivo perché dell’avvertimento sula strada, mi sembrava più che decente. Poi, dopo qualche chilometro, ho capito che avevo cantato vittoria troppo presto: il cartello “strada senza parapetti” e i vari cantieri per cedimento della carreggiata mi hanno spinto a concentrarmi più sulla guida e meno sul panorama.
Dopo circa 40 minuti di curve e curvette, il navigatore mi ha portato a Roscigno (nuova), un paesino molto carino, in quel momento apparentemente abitato da soli due vecchietti, che giocavano a ramino all’esterno di un bar, bevendo dei Campari, dai quali si alzava un odore di gin che arrivava a metri di distanza.
Ho chiesto informazioni ai due vecchietti, che mi hanno offerto di bere con loro, ma alle 16:00, con un auto in mano e col sole alto in cielo non mi è sembrato il caso di darmi al gin.
Subito dopo il centro del paesino, il navigatore ha deciso che la strada migliore fosse quella tra i vicoli, attraverso una serie di ripide discese e salite, sulle quali mi sarei divertito molto, se avessi avuto la mia bici con me. Sfortunatamente avevo solo una clio, che non è proprio il mezzo più indicato per i fuoristrada urbani.
Sopravvissuto alla gincana cittadina e tornato su una strada “normale”, quello stramaledetto navigatore mi dice di girare in un vicolo, che io riesco a trovare solo al terzo tentativo: lo imbocco, lo percorro, mi fermo quando capisco che è una strada senza uscita.
Anche in questo caso, ad attendermi c’era un vecchietto, che tagliava l’erba con una falciatrice elettrica, agitata come una spada laser di Star Wars. Con la maschera e i guanti da lavoro, sembrava la versione contadina di Darth Vader.
Scendo dall’auto, lui mi guarda, si alza la visiera della maschera e prima che io potessi parlare mi chiede se stessi cercando “Garibaldi”.
Come l’oste di poco prima, mi spiega che tutti i turisti arrivavano lì, perché il navigatore faceva confusione, a causa della poca distanza, in linea d’aria, con la mia meta.
Vedendomi adocchiare una bottiglia di nocino, poggiata sul tavolino di fronte alla casa, me ne ha perfino offerto un bicchiere: penso il più buono della mia vita, forse per l’ingrediente segreto dell’avventura.
Alla fine il vecchio Jedi mi ha spiegato che avevo due scelte: percorrere una mulattiera o tornare indietro e seguire le sue indicazioni, spegnendo il navigatore.
Guardando la mulattiera, ho capito che non potevo chiedere tanto alla mia Clio, così ho salutato il vecchio e mi sono rimesso in marcia. A suo dire ci avrei messo solo altri 10 minuti: sbagliava, ce ne sono voluti solo 5!
Prima curva, seconda curva, destra, destra e finalmente, dopo una piccola strettoia, mi si è aperta avanti la piazza centrale di Roscigno Vecchia.
Giuseppe Spagnuolo era seduto su una panchina, all’ombra di un albero, raccontando aneddoti ad alcuni turisti che erano lì per visitare il posto e conoscere lui.
Roscigno Vecchia è un luogo magico, una “Pompei del ‘900”, così come definita più volte. Le case, la chiesa e tutti i ruderi conservano ancora la loro dignità di paesino, con un po’ di fantasia si riescono ad immaginare le persone che animano quelle stradine, lo spiazzale di fronte alla chiesa a tre navate e le botteghe di cui si leggono ancora le insegne “taverna” e “ciabattino”.
Giuseppe Spagnuolo, invece, è un uomo dal fascino fiabesco. Io immaginavo un vecchio trasandato, invece indossava perfino la cravatta.
Ho capito subito che il soprannome “Garibaldi” gli deve dare molto fastidio, quando ho visto la bandiera del Regno delle Due Sicilie sventolare dall’unico balcone evidentemente abitato del borgo, immaginando fosse casa sua. Lui me lo avrebbe confermato di lì a poco.
Giuseppe non è certo il vecchio saggio alla Gandalf: è evidente quanto gli piace sentirsi al centro dell’attenzione, è orgoglioso (giustamente) delle sue storie e gli da anche un po’ fastidio essere interrotto per una domanda, anche se poi non risparmia risposte.
È il cicerone del borgo e il custode della sua memoria storica, riesce a disegnare , con le parole, il quadro completo delle varie epoche di quel posto.
Io ho atteso che i pochi turisti lo lasciassero solo per qualche minuto, in modo da potergli fare la mia domanda. Al momento giusto mi sono avvicinato, mi sono presentato e gli ho spiegato le ragioni della mia presenza lì.
È stato difficile arrivare alla domanda, perché da ogni mia parola scaturiva un suo aneddoto, ma alla fine ce l’ho fatta.
Eccoci qui, quindi, finalmente al momento in cui vi dirò quale era questa benedetta domanda!
Mi dispiace quasi dirvelo, perché so che resterete delusi, per quanto è semplice e banale. La domanda, infatti, era:
“Come si fa a non avere paura di restare soli?”
Lui mi guarda, si guarda intorno e mi indica la gente che era lì in giro, per lui! Il punto era che lui “solo” non lo era. Lui dormiva da solo, ma per tutto l’anno viveva le sue giornate in compagnia di estranei sempre diversi.
Alla fine, capendo che quella domanda stupida nascondeva u ndiscorso molto più ampio, si distrae per un attimo dalla sua pipa e mi da una risposta accettabile:
“Fatti un percorso di vita, così non sarai mai solo. Ci vuole gavetta!”
Fine, tutto qui! Domanda stupida, riposta stupida, ma davvero?
Davvero la mia domanda era così stupida? Proprio nell’era in cui tutti hanno paura di essere dimenticati, cercando visibilità e memoria nelle vetrine dei social network?
A voi la solitudine, intendo quella “a vita”, non fa paura? Io sinceramente ne sono terrorizzato, specie quando mi rendo conto che, se da un lato cerchiamo quelle vetrine, dall’altro facciamo di tutto per evitare rapporti umani impegnativi.
La sua risposta, poi, vi sembra così banale? Pensateci!
Se passi la vita a crearti “una vita”, alla fine la passerai anche ad incontrare gente. Quando, poi, sarai alla fine dei tuoi giorni, avrai tante storie da raccontare e tanti ricordi a cui aggrapparti?
La prova? Come, non l’avete vista, in bell’evidenza, qualche paragrafo fa? Allora siete proprio ciechi!
Io e il vecchio, non eravamo soli! Io ero lì, con lui, seguendo il mio percorso di vita! Lui era lì, con me, raccogliendo i frutti del suo!
Ecco perché Giuseppe Spagnuolo non è né vecchio e né eremita: lui conserva la gioventù del suo percorso e gode della compagnia di chi vuole ascoltare le sue storie. Vi sembra vecchio e solo?
In più, lui ci ha tenuto a precisare che non era stato lui a decidere di vivere “solo”: dopo una lunga vita in giro per il mondo, era semplicemente tornato a casa. Il problema è che, nel frattempo, “casa” non c’era più. Se n’erano tutti andati, per qualche anno ha condiviso il borgo con una monaca in pensione, ce poi è venuta a mancare.
Non è Giuseppe a stare solo, sono gli altri che se ne sono andati. Lui ha continuato la sua vita così come ha sempre fatto.
È assurdo, ma nella ricerca di quella risposta, nella ricerca di un modo di non aver paura della solitudine, io non sono stato solo neanche per un istante.
In auto avevo i miei pensieri, avevo me stesso, il mio “scopo di vita” per quella giornata. Alla tavola calda ho parlato con l’oste. Al paesino ho chiacchierato con i vecchietti del bar. Nelle campagne, in cui mi sono perso, ho incontrato il “giardiniere spadaccino”. Alla fine, al borgo, ho conosciuto Giuseppe.
La risposta non me l’ha data l’uomo che stavo cercando in quel borgo, ma quello che stavo costruendo dentro di me. La risposta me la sono data io:
Non vuoi restare solo? Non restarci!! È una nostra scelta, né meno, né più!
Ho capito, finalmente, perfino il perché della risposta alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”, nel libro/film “Guida intergalattica per autostoppisti”: è una domanda così immensa, che nessuno potrà mai darvi una risposta, quindi perfino un super-computer o Dio, alla fine, vi risponderebbero con la prima cazzata che gli passa per la testa! Anche in questo caso, se non lo avete giù fatto, troverete quella risposta leggendo il libro o, almeno, guardando il film.
Tornando a casa, più ricco di una nuova consapevolezza, ho deciso che non volevo privarmi di quel panorama e mi sono fermato a guardarlo: dove prima vedevo alberi, case, montagne e campagne, ora vedevo storie, uomini e donne, vita!
Sono partito da casa perché volevo conoscere un eremita, ci sono tornato che avevo conosciuto decine di persone.
Che concetto profondo e complimenti per l’articolo davvero interessante. Anch’io rimango sempre affascinata da chi ha una storia da raccontare e da chi decide di vivere la propria vita fuori dagli schemi.
E’ come se Giuseppe fosse sempre in compagnia delle sue storie, prime fra tutte a non farlo sentire solo, prima ancora dei turisti.
Io sull’argomento potrei scriverci un libro, dato che ci combatto da una vita anche solo con la sensazione di sentirmi sola.
In ogni caso ti lascio con questa riflessione: quante volte ci si sente soli anche quando si è in compagnia?
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Grazie Valentina, hai colto esattamente il concetto! Conosco bene la sensazione di “solitudine tra la folla”, come a volte può capitare che delle persone ti manchino anche stando sedute accanto, oppure riescano ad essere presenti a migliaia di chilometri di distanza.
Pensaci a quel libro 😉
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