Svesto il mio sorriso,
a volte, senza controllo,
quando guardo ad oriente,
pensandoti, distraendomi.
Percepisco distintamente
l’instante in cui si congela,
per poi ritrarsi, vigliacco,
dietro labbra serrate,
ammutolite da un discorso,
spesso da una singola parola.
Svesto il mio sorriso,
quando i ricicli della vita
portano la tua voce
fino al mio orecchio,
per ascoltarla danzare,
ondulare sinuosa sulle note,
piroettare tra le armonie,
per poi pungere e conficcarsi,
come scheggia di un passato
rovinato dal tempo.
Io ascolto e ti sento tagliente,
come carta nuova e pesante.
Svesto il mio sorriso
per un titolo, una canzone,
un film, un sapore,
una foto conservata,
ma dimenticata…
Svesto il mio sorriso
quando si parla d’estate:
dicono che quest’anno
non la vedremo arrivare,
lo svesto quando penso
che non sarebbe arrivata
comunque, per me…
Svesto il mio sorriso,
nel tempo di un respiro,
solo per un attimo:
lo recupero da terra,
lo spolvero, lo indosso,
perché non mi vedano,
nudo e rassegnato,
perché non sappiano
che è solo un disegno,
un tratto maldestro,
con il quale do espressione
ad un volto asettico.
Svesto il mio sorriso,
perché è una copia,
mentre l’originale
è ancora in quel saluto,
congelato nei tuoi occhi,
gli ultimi testimoni
della sua esistenza.