Ho pietà di voi,
che nutrite le librerie
di illustre Poesia,
titoli importanti,
antologie di spessore,
nomi celebri.
Ho pietà di voi quando,
nella Poesia più anonima,
leggete una debolezza.
Ho pietà di voi,
perché non conoscete
il peso della penna,
la resistenza del tasto,
l’affilatura della carta.
Non riconoscete
la forza necessaria
a lasciar cadere
una goccia d’inchiostro.
Ho pietà di voi,
perché i vostri occhi
non vedono bellezza,
se non illuminata
dalle luci della fama.
Eppure, quei nomi celebri
erano grigi e anonimi,
solo poco tempo fa.
Ho pietà di voi,
della vostra supponenza,
della vostra presunzione,
quando vi arrogate il diritto
di impartire lezioni di vita,
sulla base di una confessione,
descritta in lettere e silenzi.
Lo fareste con quei nomi?
Chi, su carta, canta un dolore,
per strada balla, ride, beve vino,
fa l’Amore con le stelle,
prende a pugni gli incubi,
cavalca le onde di ogni emozione.
Ho pietà di voi che non vivete,
se non tra i confini di una pagina:
oltre i bordi di quel foglio
gli analfabeti creano le storie
che riempiranno, un domani,
le vostre illustri librerie.