Ore 02:41, una settimana dopo

Una settimana fa ho scritto un lungo articolo, che cominciava così: “Ore 02:41 del 19 Aprile 2018, spero di non pubblicare mai quanto sto scrivendo.”

Ho eliminato quell’articolo immediatamente, ma stanotte, guardando l’orologio, mi sono reso conto che era passata esattamente una settimana e le ragioni per farlo erano più forti che mai.

Di che parlava l’articolo? Di tutto e di niente. Del tutto e del niente.

Non era tanto “di cosa” parlava ad essere importante, ma “a chi”: come faccio spesso, scrivevo un po’ al mondo, un po’ a me stesso.

L’articolo era una “Lettera al mio Istinto”, una lettera mai spedita.

Il mio istinto è la cosa migliore che ho, assai raramente ha sbagliato la lettura degli eventi e mai del tutto.

Quando qualcosa non va, lui se ne accorge prima degli altri sensi e comincia ad agitarsi, come un allarme di contraerea: qualche volta, al massimo, non riconosce la causa reale, ma il pericolo sempre!

Purtroppo, corrotto dai contesti, è anche la cosa alla quale ho dato meno ascolto nella mia vita e se lo avessi fatto mi sarei risparmiato un sacco di legnate.

Come fa il mio istinto a prenderci sempre? Semplice: valuta solo ed esclusivamente gli eventi: senza speranze, senza paure, senza passione. Il mio istinto è uno scienziato, di fronte ad un esperimento: osserva e riferisce, senza altro da aggiungere.

Il problema, semmai, sono le altre sensazioni in gioco: la speranza, l’ira, l’ansia, il desiderio.

Il mio istinto è quello che mi impedisce di mandare un messaggio scritto dall’ansia, poi non gli do mai ascolto.

Il mio istinto è quello che ha cancellato già decine di frasi scritte dall’ira, in questo articolo: per fortuna gli sto dando ascolto.

Il mio istinto è quello che guarda ad uno spazio vuoto, lì dove la speranza darebbe ascolto alle parole di chi dice che è pieno.

Il mio istinto guarda alle cose concrete, reali e tangibili, lì dove il desiderio vivrebbe di pure idee.

Ora, in questo momento, cosa mi dice il mio istinto?

Purtroppo, nulla di buono e stavolta non posso permettermi di non dargli ascolto perché la risposta potrebbe solo essere “ma allor si strunz!” (traduzione: “allora sei proprio un ingenuotto”).

Stavolta devo dargli retta, nonostante tutte le altre sensazioni stiano scalciando, dandomi quei sintomi, anche fisici, che, solitamente, metto a tacere dando ascolto alla pancia.

Stavolta il mio istinto si è impuntato e mi chiede “perché”…

“Avanti spiegatemi perché”, dice alle alle mie sensazioni, schierate in rassegna, sugli attenti, incazzato come un sergente kubrickiano: loro, ovviamente, restano mute, perché stavolta proprio non sanno che scuse accampare.

La speranza è troppo debole, dopo tutte le notti di guardia. La fiducia è derisa dal tempo. Solo il desiderio, temerario, si azzarda ad alzare una mano, ma per fortuna intervengono pudore ed amor proprio, che con l’istinto sono sempre andati d’accordo, ma che sono sempre stati troppo timidi per schierarsi con la minoranza.

Da un angolo buio si sente una vocina debole, è l’incoscienza: “e se si facesse sentire?”

Cala il silenzio, l’incoscienza guarda tutti gli altri, poi se ne torna nell’angolino sconfitta, accompagnata e consolata da un misericordioso realismo.

Ora l’istinto mi dice e pretende di starmene buono, di limitare anche gli interventi su questo blog, nel mondo in generale, perché sa che in questo momento potrei far danni e che solo lui può evitarlo.

Seguo l’istinto, perché è l’unica voce che mi parla e che mi da una ragione valida per ascoltarla.

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