Il web non è una barzelletta!

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Eravamo io, Jim Morrison, Hot Dog e Sally, nel bel mezzo della notte, in una stanza a noi riservata, al riparo dagli inutili discorsi di tutti gli altri.

Sembrerebbe l’incipit di una barzelletta, nel migliore dei casi, purtroppo è l’inizio di un film horror e il problema è che è anche una storia vera!

Lasciate che faccia chiarezza: sì, è tutto vero, ma bisogna contestualizzare.

Erano gli anni novanta, io ero un giovane nerd, che si affacciava, per le prime volte, alla rete.

Internet era completamente diverso da oggi: per connetterti dovevi avviare “la chiamata”, attendere interminabili minuti, con il modem che emetteva suoni incodificabili in parole, nella speranza che la linea non cadesse e che tua madre non alzasse il telefono.

Una volta connesso, tenevi il telefono occupato e facevi schizzare la bolletta, per questo ci si connetteva di notte.

Le chat erano prettamente testuali, perché la velocità della rete era talmente bassa che, nel migliore dei casi, per aprire una foto di qualità bassissima, ci mettevi dai 5 ai 10 minuti.

La “stanza privata”, di cui vi ho parlato, era il nome di una “stanza” della chat pubblica di Jumpy, un service provider molto noto a quei tempi.

Si accedeva senza controlli e senza registrazioni, potevi essere chiunque tu volessi e questo, all’epoca, sembrava fantastico.

Internet era il Far West, un posto meraviglioso se guardato da lontano, ma una vera merda se ci devi vivere!

Jim Morrison, Hot Dog e Sally erano i nomi di tre utenti, con i quali feci “amicizia” (facebook non c’era ancora). Io non avevo e non ho idea di chi fossero in realtà!

Ci eravamo detti da dove “DGTavamo”, ma in fondo, ripeto, avremmo potuto dire qualsiasi cosa.

Non avevamo particolari cose di cui parlare o argomenti in comune, eravamo lì solo per il fatto di poterci essere.

Ci davamo appuntamento a una certa ora, sperando che, quella sera, il nostro nick non fosse già stato preso da qualcun altro.

Questa cosa, ovviamente, avvenne!

Un giorno, nella nostra stanza privata, entrò un nuovo nick (ora non ricordo quale di preciso), affermando di essere “Sally”: aveva trovato il nome già occupato e ne aveva preso un altro.

La cosa davvero strana? Era un nuovo nick, ma da uomo: Sally era un maschio!

Fu a quel punto che, per la prima volta, cominciammo a discutere di qualcosa di veramente serio: il web aveva bisogno di regole?

Per noi era chiaro che quel fenomeno, chiamato “WWW” e partito dagli USA qualche anno prima, sarebbe diventato, molto presto, qualcosa di colossale.

Era chiaro anche che, se quattro sconosciuti potevano raccontarsi frottole, in una piccola chat, il problema sarebbe diventato ben più grave, in maniera direttamente proporzionale alla crescita degli utenti.

E gli utenti crescevano, credetemi: ogni giorno c’erano due o tre persone che ti chiedevano informazioni su come connettersi, su come creare una mail o robe del genere. Il giorno dopo ancora erano diventati dieci, poi venti e così via.

Ci mettemmo quindi a cercare, con i poco potenti mezzi dell’epoca, conferme o smentite delle nostre paure.

Quello che trovammo furono decine e decine di siti web e forum, dove si parlava della cosiddetta “Netiquette“, vale a dire un primordiale tentativo di porsi delle regole di condotta nella rete.

Ci sentivamo più tranquilli? Ma per niente, perché l’accesso alla rete dilagava, cresceva a vista d’occhio e ogni giorno nuovi utenti si affacciavano al web.

Ricordo che ci furono delle petizioni e che qualcuno cominciò a parlare dell’esigenza di una vera e propria legislazione: per la prima volta, sentii parlare di “identità digitale”.

Come credete sia finita quella storia? Bravi, avete vinto una staceppa dorata: finì con un nulla di fatto.

Parlare di regole e di documenti, nel far west, era praticamente impossibile: si veniva accusati di fascismo.

L’anarchia più sfrenata fu mascherata da “Libertà” e si continuò sulla stessa strada di sempre!

Col tempo, com’è ovvio, ho perso ogni contatto con quelle persone, anche perché Jumpy non esiste più.

Il web cominciò a evolversi, le “chat” furono sostituite dai social network, ma nulla cambiò davvero.

Per registrarsi a Facebook, ad esempio, in Italia bisognava (ancora oggi è così) avere almeno 13 anni: quanti under 13 conoscete con un profilo su big-F? Esatto, troppi!

Chi avrebbe dovuto controllare? I genitori, certo! Purtroppo erano troppo impegnati a sembrare più giovani dei figli e a perdersi, a loro volta, nel nuovo turbine mediatico.

Oggi, a distanza di anni, mi guardo intorno e scopro che le paure di quella chat si sono rivelate tutte fondatissime!

Dal web partono rivoluzioni, cadono governi, cominciano guerre, si distruggono reputazioni, si incita al suicidio, si convincono milioni di persone di teorie assurde e pericolose…

INSOMMA, DI WEB SI MUORE!

Che dite, forse è ora di metterla qualche regoletta, oppure vogliamo continuare col far west?

Quello che mi fa paura e che forse vi piace così!

Comincio a pensare che la vostra indignazione, per questo suicidio o quella fake news, sia solo di facciata e che, sotto sotto, vi interessi più la telenovela delle colpe e dei commenti!

Se tutto andasse bene, di cosa parlereste e su cosa vi azzuffereste? Sareste costretti a vivere la vita reale e ad affrontare i vostri veri problemi, senza più poter dare la colpa a questo o quell’altro!

Io, invece, continuo a pensare che il web è un luogo, esattamente come una piazza, un negozio o una chiesa, che non ha nulla di “virtuale” e che dovrebbe avere le stesse regole della “vita reale”, prima tra tutte l’abolizione dell’anonimato e la verifica dell’identità!

Cominciamo con ristabilire una buona differenza tra il concetto di “privacy”, quello di “libertà” e quello di “faccio come cazzo mi pare, non saprai mai chi sono”, che non sono la stessa cosa!

Se io minaccio qualcuno “nella vita reale”, lui può chiamare le forze dell’ordine, che possono chiedermi i documenti!

Perché, su Facebook e sugli altri “luoghi” digitali, invece, questo non avviene?

Provate a cambiare la foto della vostra carta d’identità con quella del vostro gatto o del vostro calciatore preferito, vediamo cosa succede al primo posto di blocco!

Con un’identità digitale diffusa e obbligatoria, non ci sarebbero più vecchi rattusi, che si spacciano per adolescenti, cercando di circuirli! Anche quella è privacy, anche quella è libertà?

Certo, la verifica dell’identità non sarebbe l’unica cosa da sistemare, ma un punto di partenza, perché se io so chi sei, allora posso anche costringerti ad assumerti le tue responsabilità su quello che pubblichi!

Pubblicare una “fake news”, per esempio, vuol dire “diffondere notizie false”, che (notiziona) è un reato (penale quindi), se incide sull’ordine pubblico… Perché quindi la “fake news” online è trattata diversamente?

Screditare qualcuno pubblicamente, senza averne le prove, è diffamazione, che è un altro illecito penale, perché nel web non viene mai considerato tale?

C’è di peggio: avremmo dovuto applicare al web le regole del mondo “offline”, ma stiamo facendo il contrario.

Anni fa, nessuno avrebbe mai pensato di andare in TV e sputtanare pubblicamente un perfetto sconosciuto, senza avere neanche uno straccio di prova tangibile, ma solo dei “secondo me”.

Poi è arrivato il web, dove ci si sputtana come azione preventiva e oggi questo avviene ovunque, anche fuori dalla rete!

Ecco, questo è il risultato di quella libertà che tanto abbiamo difeso, negli anni novanta!

Bravi, applausi, facciamoci i complimenti, prima di cadere in un baratro ancora peggiore?

Quale baratro?

Beh, alle porte c’è un’altra rivoluzione, pari e forse ancora più potente di quella che fu il web: si chiama “Intelligenza Artificiale”...

Io la butto lì: che ne dite, mettiamo qualche regoletta già da ora?


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