Siamo tutti figli di Troia!

[Tempo di lettura stimato: 6 minuti]

È bene ricordare che Roma fu fondata da profughi, soprattutto a chi si proclama di destra!

Che il fascio di destra (perché c’è anche quello di sinistra) abbia una fissa per il mito di Roma lo sappiamo tutti, altra storia è il fatto che non conosca per nulla la storia della stessa.

Restiamo sul dato di fatto e limitiamoci a constatare che il fascio (di destra) abbia la fissa per il mito di Roma Antica.

Secondo la tradizione, Roma fu fondata da Romolo, ma chi era questo personaggio?

Senza girarci troppo intorno, erano un giovincello, fratricida, che secondo le saghe epiche discendeva direttamente da Enea, un condottiero di origine dardana, figlio della dea Venere e di Anchise, oltre che nipote niente di meno che di Priamo, il mitico ultimo Re di Troia.

Enea, in virtù del suo ruolo e della sua casta, aveva preso parte alla famosa Guerra di Troia, dopo la cui caduta decise di mettersi in salvo, intraprendendo un viaggio che, secondo una profezia celeste, lo avrebbe portato a rifondare la città, in un altro luogo.

La storia di questo viaggio è ampiamente descritta nell’Eneide di Virgilio, che solitamente si studia al primo anno delle Scuole Medie, ma sappiamo tutti che i fasci, di destra o di sinistra che siano, non sono amanti dello studio, preferendo impiegare il proprio tempo per disegnare simboli di antiche ideologie politiche, sui banchi di scuola.

Per rinfrescare la memoria dei fasci, sia di destra che di sinistra, possiamo dire semplicemente che il viaggio di Enea e del suo seguito fu tutt’altro che facile.

La piccola flotta partì dal confine tra le odierne Grecia e Turchia, navigò nel Mediterraneo e alla fine risalì il Tevere, fino a stabilirsi nella zona del Palatino.

Il viaggio, però, non fu per nulla facile e lineare, ma subì tutta una serie di “stop and go”, probabilmente creati ad hoc, per permettere a Virgilio di pubblicare nella categoria “Epica”.

I profughi troiani si fermarono prima in Tracia, ma qui Enea sognò il cugino Polidoro, ucciso in quel luogo, sotto forma di un albero sanguinante. Non era un bel presagio e all’epoca ci tenevano a queste cose.

Il viaggio continuò, quindi, verso Delo, dove c’era l’Oracolo di Apollo ed Enea, che probabilmente aveva sognato anche il Ministro Piantedosi, aveva deciso di consultarlo, prima di continuare il viaggio.

L’oracolo suggerì a Enea di recarsi a Creta, dove i profughi iniziarono a costruire la loro città, ma vennero fermati da una pestilenza, che li costrinse a ripartire.

Per fortuna, gli dei apparvero, di nuovo, in sogno, a Enea, indirizzandolo verso l’Italia.

Una volta ripreso il mare, la flotta venne spinta, da una tempesta, verso le isole Strofadi, dove fu attaccata dalle Arpie, che però avevano, evidentemente, già mangiato e quindi, invece di divorare tutti, decisero di profetizzare alla comitiva fame e pestilenza.

Visto l’andazzo, Enea pensò bene di non affrontare una traversata in alto mare e di procedere rasentando la costa, scelta che lo portò in Epiro. Qui Enea incontrò Andromaca, vedova del cugino Ettore (principe di Troia e ucciso da Achille, quello del tallone), che per consolarsi aveva cominciato a sbombarsi Eleno, l’amichevole indovino di quartiere.

Eleno distrusse l’entusiasmo di Enea, che s’era illuso di essere quasi arrivato all’Italia, intendendo come Italia la Puglia, poco distante, raccontandogli che avrebbe dovuto ancora viaggiare parecchio.

Enea chiese a Eleno un segno, allora l’indovino guardò Andromaca e poi profetizzò che il viaggio si sarebbe concluso solo quando il condottiero avrebbe visto una scrofa bianca, con trenta porcellini.

I troiani ripresero il mare, approdando a Sud dell’odierna Otranto, poi proseguirono verso la Sicilia, perché all’epoca la movida romagnola non era ancora di moda.

Dalla Sicilia, una tempesta li spinse verso Cartagine, perché a Otranto avevano invocato la protezione di Minerva, ma era scattata la segreteria.

A Cartagine decisero di fare una pausa, non tanto per la stanchezza, quanto perché Enea s’era messo a fare le cose zozze con Didone, regina della città. Quando Didone, però, cominciò a parlare di una storia seria, Enea annunciò che era tempo di ripartire.

Didone, per il dolore, si uccise e maledì tutti i troiani, che sentitamente ringraziarono Enea, vista la già straordinaria loro fortuna, come popolo.

Tornati in Sicilia, morì Anchise, il padre di Enea, che capì che Didone era una potente iettatrice.

Nell’odierna Gaeta morì anche Caieta, da cui la città prende il nome e vecchia nutrice di Enea, il quale capì che Didone con “stirpe troiana” ce l’aveva solo con lui.

Finalmente, dopo tante peripezie, i troiani arrivarono alla Foce del Tevere, che risalirono, fino a trovare la scrofa bianca, predetta da Eleno, capendo di aver raggiunto la meta.

Come prima cosa, tutti raccomandarono a Enea di non sbombarsi le giovincelle locali. Enea, però, era un marpione e fece di testa sua, disseminando il suo seme a destra e a manca.

Dalla stirpe di Enea, tempo dopo, nacquero i due gemelli Romolo e Remo, il primo dei quali uccise il fratello e fondò Roma.

Leggenda narra che Remo, morendo, pensò a Didone, la cui maledizione stava ancora manifestando i suoi strascichi.

Ora, a parte l’ironia che ho voluto utilizzare, per alleggerire la storia, ci sono alcune riflessioni da fare!

Enea e gli altri troiani erano profughi, su questo non c’è dubbio!

Stavano fuggendo da una guerra e dalle persecuzioni che avrebbero subito, se fossero rimasti in patria: anche su questo non c’è dubbio!

Tutti quanti loro erano ben consapevoli dei pericoli che avrebbero affrontato, ma presero il mare ugualmente, perché restare in patria presupponeva una sorte ancora peggiore.

Per fortuna, decisero di rischiare e grazie a loro nacque Roma, almeno secondo la leggenda. Da Roma, poi, la storia prese il suo corso, fino ad arrivare a noi!

Immaginiamo, però, che Enea avesse potuto fare due chiacchiere con l’attuale Governo italiano, in particolare con il Ministro Piantedosi, notoriamente tutte persone appartenenti o simpatizzanti di quella parte politica che si dice tanto legata al mito di Roma Antica.

Ecco, se Enea avesse dato ascolto a Piantedosi, Roma non sarebbe mai esistita, ne consegue che quella parte politica, che tanto ne reclama l’eredità, dovrebbe essere, quindi, grata ai profughi.

A questo punto, per forza di cose, mi rivolgo direttamente al fascio (quello di destra, in particolare): non è che, forse, chiedo, avete sbagliato completamente l’impostazione iniziale?

Tenuto presente che la GRANDE ROMA fu fondata da profughi, magari avreste fatto e fareste ancora meglio a guardare a loro come a qualcosa da accogliere, accarezzare e pregare che ripeta il miracolo.

Il mio consiglio e di riprendere in mano i libri, dal punto in cui avete smesso, in prima elementare: scoprireste che la GRANDE ROMA era una società eccezionalmente multietnica e multiculturale, esattamente il contrario di quello che state tentando di costruire.

Lo stesso Enea, il vostro più antico progenitore, era un principe Dardano, quindi molto probabilmente non era proprio “ariano”, ma scuro scuro scuro!

Quello che sto cercando di dirvi, miei cari fasci di destra, è che noi italiani siamo tutti figli di un profugo.

Noi italiani siamo tutti, fasci compresi, figli di Troia!


Foto di KEMAL HAYIT: https://www.pexels.com/it-it/foto/cielo-arte-punto-di-riferimento-nuvole-6474435/

Un pensiero su “Siamo tutti figli di Troia!

  1. “Da un punto di vista strettamente politico-militare, l’Impero romano d’Occidente cadde definitivamente dopo che nel V secolo fu invaso da vari popoli non romani” Non lo dico io, e non sono di destra e neanche di sinistra, ma lo dice Wikipedia.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Caduta_dell%27Impero_romano_d%27Occidente

    Ma a me non importa, immagino che non saremo più qui, o almeno vivi, quando succederà che il buon Allah verrà a chiedere il suo tributo.

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