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In TV sta girando la regina delle pubblicità tossiche: ti invita a comprare strofinacci usa e getta, invece che lavarli e riutilizzarli!
La pubblicità è semplice: mostra un uomo, oberato dalla fastidiosissima pratica di dover utilizzare, lavare, stirare e riutilizzare uno strofinaccio da cucina, suggerendo come soluzione l’innovativo prodotto delle “asciugamani” usa e getta.
Tralasciando il piccolo particolare che, se sei solito stirare gli strofinacci, più che di un prodotto innovativo, avresti bisogno di uno psichiatra, io mi soffermerei proprio su tutta la lunga serie di messaggi anacronistici e tossici, contenuti nella pubblicità!
Siamo nel 2023? La pongo come domanda! Sì, perché quando vedo robe del genere, mi viene il dubbio di essere negli anni ’50, in quella bellissima epoca, durante la quale cominciammo a sostituire le bottiglie in vetro con la plastica, i pannolini in stoffa con la plastica, le stoviglie in ceramica con la plastica e i fazzoletti in stoffa con la carta.
Insomma, in questi momenti, ho il dubbio che le nostre discariche e i nostri mari non siano già pieni di plastica e di carta, mentre le nostre foreste vengono spogliate di alberi e riempite con questi materiali.
Alla fine, dopo un controllo, ho appurato che siamo effettivamente nel 2023, che la monnezza dell’usa e getta ci sta lentamente soffocando e che ne siamo ben consapevoli.
Ne siamo talmente consapevoli che stiamo passando alle auto elettriche, che giriamo con le borracce dell’acqua e che ci sono leggi per limitare l’utilizzo dei monouso per il caffè.
Parliamoci chiaro: non è possibile accendere la TV, aprire una pagina web, sfogliare un quotidiano, ascoltare la radio o semplicemente stare fermi, senza essere investiti da una massiccia ondata di messaggi green.
L’era verde è iniziata, con tanta foga che, spesso, si accusano le aziende di “Greenwashing”, vale a dire di lanciare “finti” messaggi ecologisti, creati ad hoc per cavalcare quell’onda!
Chi studia la comunicazione di un’azienda, in altre parole, ha ben chiaro che oggi NON PUOI in alcun modo essere anche solo sospettabile di non impegnarti nel salvataggio collettivo del pianeta!
Mi chiedo, allora, sotto l’effetto di quale allucinazione collettiva, l’ufficio marketing e sviluppo di un’azienda, possa pensare di proporre un messaggio del genere, evento che mi fa pensare non solo a un abuso di stupefacenti, ma che mi fa anche sospettare di una cessione degli stessi, dato che la stessa alterazione è riscontrabile in chi ha pensato e trasmesso la pubblicità!
Davvero, ragazzi, come v’è venuta l’idea? Sono curioso!
Chi è il vostro responsabile? Lo chiedo perché, in tutta la storia dei fumetti e relativi cinecomics, non esiste un villain così cattivo (e pure un po’ idiota, lasciatemelo dire).
Come vi è venuto in mente di proporre la versione “usa e getta” di un oggetto per il quale non è stata mai proposta, perfino quando il monouso era all’ordine del giorno?
Siete tornati indietro di settant’anni, per rileggere l’epoca del consumismo anti-ecologico, in chiave estensiva: SIETE DEI FOTTUTISSIMI GENI DEL MALE!
Lasciamo stare, però, l’aspetto ecologico/ecologista della questione, per spostarci semplicemente sul significato originario dell’oggetto “strofinaccio”.
Uno strofinaccio è un pezzo di stoffa, che serve per vari usi domestici, generalmente di poco valore e spesso associato, per analogia, a persone e cose di scarsa utilità sociale.
Al Sud, a Napoli in particolare, uno strofinaccio, specie se vecchio e logoro, si chiama “mappina”.
L’origine del termine “strofinaccio” viene dalla parola, ovviamente, “strofinare”, mentre quella del termine “mappina” è più interessante ed è legata al materiale, con il quale, in origine, questi oggetti erano fabbricati: la canapa!
Lo strofinaccio, infatti, è anche detto “canovaccio”, termine di (lontana) origine latina, che vuol dire appunto “tela di canapa”.
La canapa, che è una pianta dai mille usi, pochissimi di questi a scopo ludico, era largamente utilizzata (ahimè, in passato) per la produzione di stoffe economiche, ma resistenti, spesso utilizzate per la produzione di mappe geografiche.
Queste mappe, quando diventavano vecchie e obsolete, venivano tagliuzzate in piccole parti, per poi essere riutilizzate, specie in ambiente marinaro, proprio come strofinacci.
Da qui, a Napoli, che da sempre è una realtà fortemente legata al mare, gli strofinacci cominciarono a essere chiamati “mappine”, vale a dire “piccole mappe”.
L’origine fondamentale di uno strofinaccio è, quindi, il riutilizzo, esattamente in quella chiave di lettura “green” e anti-spreco che contraddistingue la società a noi contemporanea.
Questo ci fa capire due cose:
- Mezzo millennio fa, a Napoli, la comunità era già proiettata nella smart/green economy.
- Quel reparto marketing e sviluppo, poco prima citato, tiene riunioni molto psichedeliche.
In effetti, ripensandoci, il titolo di questo post non è il più adeguato, perché “LA MAPPINA”, come visto, ha una grande utilità sociale e un profondo significato storico, oltre che un bassissimo impatto ambientale.