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Charles Conrad, detto “Pete”, era dislessico e da bambino gli consigliarono di puntare a lavori poco impegnativi: fu il terzo uomo a camminare sulla Luna!
Questa storia mi ricorda molto l’aneddoto del calabrone che, per le leggi dell’aerodinamica, non potrebbe volare, ma che non lo sa e quindi vola lo stesso!
Sì, stiamo per affrontare l’ennesimo articoletto in omaggio a un astronauta, anzi penso che creerò una categoria dedicata.
In realtà, mi ero ripromesso, per par condicio, che “il prossimo” l’avrei dedicato a un russo e avevo individuato anche un paio di nomi, ma poi ho approfondito un po’ la vita di Conrad e non ho resistito. In più non è il periodo migliore per fare omaggi alla Russia. Recupererò, magari in tempi migliori, in fondo si tratta pur sempre di belle storie del passato, a prescindere da quelle brutte odierne.
Chi era, quindi, Pete Conrad? Solita storia: aprite Wikipedia e scopritelo, no? Non è mia intenzione tracciare, qui, l’intera sua biografia.
A me interessa un unico aspetto della sua vita: da bambino gli diagnosticarono la dislessia, che negli anni della sua infanzia (nato nel 1930) era considerata in tutto e per tutto una “malattia” invalidante.
I medici, quindi, suggerirono ai genitori del povero Pete di spingerlo verso attività poco impegnative, dal punto di vista intellettuale, per prepararlo a un lavoro che non richiedesse particolari doti di lettura, di scrittura e di calcolo.
Sapete cosa fecero, quindi, i genitori di Pete? Se ne fregarono altamente!
Il piccolo Pete non brillava a scuola ed ebbe problemi, cambiando alcuni istituti, ma i suoi genitori non si arresero e alla fine trovarono una scuola privata, in grado d’insegnargli un metodo diverso dagli altri, che gli permise di esprimere, finalmente, la sua intelligenza.
Sì, perché i suoi genitori conoscevano il loro bambino e sapevano che non era uno stupido, ma che anzi dimostrava un’intelligenza straordinaria.
Grazie all’ostinazione e alla fiducia dei suoi genitori, quindi, Pete riuscì a diplomarsi e poi a laurearsi in “Ingegneria del volo” all’Università di Princeton. All’epoca non esisteva la definizione “Ingegneria Aerospaziale” perché non esisteva l’ingegneria aerospaziale, non esisteva neanche un’industria o una ricerca aerospaziale.
Dopo la laurea, sempre perché i medici gli avevano consigliato lavori poco impegnativi, si arruolò in marina, dove venne addestrato come pilota. Nel 1962 fu scelto dalla neonata NASA, per partecipare al primissimo e sperimentalissimo programma spaziale e nel 1965 decollo per il suo primo volo in orbita, a bordo della Gemini 5 e tornò di nuovo nello spazio con la Gemini 11.
Ricordate, stiamo parlando SEMPRE di quel bambino a cui fu consigliato di non impegnarsi troppo!
Alla fine il “piccolo”, inadatto e limitato Pete partì per la Luna, a bordo dell’Apollo 12, in qualità di comandante, diventando il terzo uomo a mettere piede sul nostro satellite, dopo Neil Armstrong e Buzz Aldrin.
Il suo ultimo volo spaziale fu nella missione Skylab 2, sempre in qualità di comandante, per effettuare riparazioni al laboratorio spaziale (appunto) Skylab.
Ritiratosi dall’attività spaziale, ricoprì ruoli dirigenziali nella McDonnell Douglas Corporation.
Alla fine, ironia della sorte, morì nel 1999, a causa di un incidente in motocicletta. Sì, avete capito bene: a quasi 70 anni andava ancora in moto e ci andava forte!
ORA, non voglio essere ripetitivo, ma è importante: stiamo ancora parlando di quel bambino che non doveva impegnarsi troppo!
In tutto questo, Pete non divenne mai un secchioncello burbero e incazzoso, come forse ne avrebbe anche avuto giustificazione, ma anzi restò sempre un bambinone pronto a scherzare e sorridere.
Il suo motto era “se non puoi essere bravo, sii pittoresco”, ma lui riuscì a diventare entrambi!
Immaginate, invece, cosa sarebbe successo se i suoi genitori, in particolare la madre, che fu quella che davvero si ostinò a credere in lui, avessero dato ascolto a chi gli consigliava di “limitarlo”.
Probabilmente Pete sarebbe diventato un manovale, senza nulla togliere ai manovali, ma di sicuro la Luna l’avrebbe guardata solo da lontano e sono certo che, in quel caso sì, sarebbe diventato burbero e incazzoso!
Attenzione, ci tengo a precisare che non so assolutamente suggerendo d’ignorare i consigli dei medici: a quei tempi non erano colpevoli del loro consiglio, stavano semplicemente seguendo le comuni convinzioni, in materia di dislessia!
Tutti, medici e gente comune, erano convinti che un dislessico non potesse raggiungere particolari obiettivi, nella vita. Un po’ come, fino a qualche anno fa, si pensava che una persona senza una gamba non potesse correre, per poi ritrovarci, oggi, a tifare i nostri idoli paraolimpici!
Conrad, insieme a tanti altri, non ha anticipato i tempi, ma li ha indirizzati, dimostrando a se stesso al mondo intero che quel modo di pensare era sbagliato!
Non lo ha preteso, lo ha dimostrato, mettendoci in faccia alla realtà più cruda: quelli inadeguati erano gli altri, era chi lo giudicava tale, eravamo NOI!
L’esempio di Conrad ha ispirato tanti altri aspiranti astronauti, come ricorda Scott Kelly, classe 1964, quando ci spiega che da bambino aveva forti problemi a mantenere l’attenzione e che, oggi, gli avrebbero diagnosticato l’ADHD.
Conrad, appunto, fu uno degli eroi di Kelly, spingendolo a non arrendersi, nel suo sogno di arrivare alle stelle, nonostante le sue difficoltà.
È anche grazie a uomini e donne come Conrad e Kelly che la società e la scienza hanno dovuto riconsiderare il modo di considerare disturbi come la dislessia e l’ADHD, ricordate anche questo, tra i mille altri motivi già affrontati in questo blog, la prossima volta che vi chiedete perché spendiamo tante energie per andare nello spazio.
L’esempio del piccolo Pete è la manifestazione più alta del motto di tutti gli astronauti: “PER ASPERA AD ASTRA” (attraverso le difficoltà, fino alle stelle)!
Un pensiero su “Pete Conrad: il dislessico che andò sulla Luna!”