Torniamo al campo, alle tende logore,
ai fuochi estranei, ai muti sodali.
Ci chiederanno di cantar battaglia,
racconteremo di averla onorata,
di aver tentato coraggiosi assalti,
di aver ceduto, per stanchezza,
di fronte alla fierezza delle mura
che tennero, eterne, all’assedio.
Torniamo alle marce trascinate,
rubando il sonno alle brevi soste,
alle notti serrate in vana guardia,
in attesa di un anonimo nemico.
Torneremo alle promiscue licenze,
agli stanchi approcci da taverna,
ai baratti improvvisati e vagabondi,
scambiando tranci d’anima reduce,
con scarsi avanzi di tempo morto.
Ci congederemo, se avremo fortuna,
in veterana e malinconica vecchiaia,
ricordando il profumo dei giardini,
che dalla città arrivava alle trincee,
portando mirtillo nell’aspra gavetta,
rendendo magnolia anche la latrina,
profumando d’eucalipto l’alte pire.
Rimpiangeremo di non averli visti,
tenteremo d’imitarne lo splendore,
improvvisando l’Eden in un vaso.
Nel mezzo dell’inverno più arido,
annusando la terra tra le unghie,
ricorderemo l’aroma di primavera,
anziché il tanfo dello scontro.
Se solo ci avessero aperto la porta,
avremmo saputo meravigliarci,
non ne avremmo fatto conquista,
non ci sarebbe stata arida razzia,
ma un fedele e fertile raccolto.
Photo by Irina Iriser from Pexels
È meravigliosa…
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