Bibione Fonz, predatore dell’espresso perduto

Oggi vi racconterò la storia dell’Espresso Perduto, accaduta nel 2004 a Bibione (Venezia).

Nel Maggio del 2004 un giovanissimo Fo’, reduce dalla sua prima vera batosta sentimentale, pensò bene di partecipare a uno stage di Animazione, che avrebbe dovuto durare poco meno di una settimana.

“Avrebbe dovuto”, perché nei cinque mesi e mezzo successivi tornai a casa per un massimo cumulato di tre o quattro giorni.

Alla fine la mia destinazione finale fu la ridente cittadina di Bibione, sulla riviera veneta, a pochi chilometri da Jesolo.

Io ero felicissimo, avevo 23 anni, lavoravo come tecnico audio e con l’occasione di apprezzare a pieno tutti i vantaggi dell’essere single e fuori sede, con addosso la “felpa-trofeo,” che sulle signorine aveva sempre un certo fascino.

Tutto lasciava presagire un’estate stupenda e fu così, ancora oggi la ricordo come unica.

C’era solo un piccolissimo dettaglio che non le permise di essere l’Estate Perfetta: il caffè!

Io, devo confessarlo, sono un pesantone agonistico, specie quando si parla di Espresso.

Lavoro in un’azienda che produce capsule e cialde, ma NON POSSEGGO una macchina per il caffè che le utilizzi… Troppo “fredde”.

Io sono per la vecchia e cara moka! Per me la preparazione del caffè è un rito, che comincia con il far bollire prima l’acqua in un pentolino, in modo che la polvere non resti sul fuoco per un istante di troppo.

Volete sapere cosa mi hanno regalato degli amici al mio ultimo compleanno? Una caffettiera napoletana, un macinino manuale ed 1Kg di caffè in grani di una miscela personalizzata.

Questo solo per darvi l’idea di quanto io sia fissato col caffè, senza scendere nei dettagli, perché risulterei davvero patologicamente ossessionato.

Torniamo, ora, a quell’estate del 2004.

Io, dopo una settimana in Veneto, per quanto felicissimo della salsina rosa del pub dove mi rifugiavo nelle rare sere libere, avevo il serio problema di essere in astinenza da caffè espresso napoletano.

Con me il caffè funziona al contrario: se non ne prendo per un po’ divento intrattabile, lo divento anche se lo prendo e non mi piace.

Capiamoci, non posso dire che abbia bevuto un caffè davvero schifoso, era anzi anche buono: in fondo eravamo pur sempre in Italia.

Io, però, volevo un caffè “terrone”, come lo prendiamo “giù al Sud”: cremoso, bollente e con quel sapore che ti resta in bocca per tantissimo tempo, cosa che per un tabagista è gioia e dolore.

Avevo portato con me una moka e un fornelletto elettrico, riuscendo, anche se in parte, a tenere a bada l’astinenza.

Per capire cosa mi mancava, purtroppo, bisognerebbe essere campani.

Per un terroncello come me il caffè al bar non è solo una pausa, ma uno “switch”: c’è il mondo prima e il mondo dopo quel sorso, contornato dalle chiacchiere attorno.

Io, insomma, avevo bisogno di trovare un bar dove facessero IL MIO caffè e dove poter anche scambiare una chiacchiera col barista, ma in una località turistica veneta, frequentata per la maggiore da tedeschi.

Caro Tom Cruise, vuoi una missione impossibile? Accomodati!

Vi giuro che ho cercato quel caffè per tutto il tempo che sono rimasto lì, penso di aver provato tutti i bar della città.

Quello del “siciliano”, dove ci fermavamo di solito con lo staff, era anche passabile, ma non era IL MIO.

Un sabato, poi, quasi a termine della stagione, scendo di casa per andare a fare colazione.

Il Sabato mattina era libero e ognuno faceva quello che più gli pareva. Io, solitamente, dormivo fino a tardi.

Quella volta, però, non riuscivo a restare a letto, così mi alzai.

In realtà avevo ancora sonno, ma l’idea che quell’esperienza stava per finire mi rendeva irrequieto e non volevo sprecare gli ultimi momenti liberi a dormire (di sicuro c’era lo zampino di una certa Aurora, che ancora non si era manifestata del tutto).

Arrivai alla mia bici, che per mesi avevo incatenato SEMPRE allo stesso palo e SEMPRE sotto la stessa finestrella.

Da quella finestrella, quella mattina, sentii diffondersi qualcosa che conoscevo benissimo: era “Che Soddisfazione” di Pino Daniele, unitamente a rumore di tazzine e piattini!

Mio Dio, sotto casa avevo un bar e dentro ci lavoravano dei compaesani?

Quello che scoprii è che non solo ci lavoravano dei Napoletani, ma che il bar lo avevano proprio preso in gestione!

Io non saprei descrivermi l’emozione che ho provato, quando ho messo la bocca su quella tazzina, ustionandomi le labbra, perché rigorosamente bollente: sì, era lui, era IL MIO CAFFÉ!

È incredibile: lo avevo cercato per mesi e ce l’avevo sotto casa!

Le mattine “lavorative” ero sempre troppo di fretta per accorgermene e quando avevo avuto l’occasione cosa avevo fatto? Avevo dormito!

Sarebbe bastato alzarmi due ore prima in un Sabato qualsiasi, per scoprirlo. Sarebbe bastato non cedere alla solita abitudine, non lasciarmi incatenare dal vizio di poltrire e forzarmi un qualcosa di nuovo.

Quando l’ho fatto, il miracolo è avvenuto: un caffè napoletano, in una città veneta, popolata da tedeschi!

Non è forse un piccolo miracolo urbano? Sfortunatamente è arrivato troppo tardi per regalarmi la mia Estate Perfetta ed è stata solo colpa mia!

A volte quello che più desideriamo è avanti ai nostri occhi e basterebbe cambiare solo un piccolo dettaglio nelle nostre abituali azioni per vederlo.

Chissà quante volte ci siamo persi il nostro piccolo miracolo per pigrizia, per stanchezza o per semplice paura.

Non lo sapremo mai!


Photo de Nao Triponez provenant de Pexels

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