Vi chiudo fuori dalla gabbia,
prigionieri di liberi sprechi,
condannati ad immobili danze.
Incatenati alle pigre ali del dubbio,
di cui subite il possesso forzato,
schiacciati dal peso dell’inutilizzo,
vi proclamate inabili al volo.
Protetto dalle mie sbarre di fumo,
edifico fragili castelli di cartone.
Le mie ali sono intrecci di idee,
invenzioni sospese nel tempo.
Le disegno fiere e distese, nel vento,
mentre invito gli spifferi al duello,
mutandoli in correnti contrarie.
Sorvolo città prive di cemento,
ma fatte si suoni e suggestioni.
Vi vedo sopravvivere agli eventi,
immemori della Vita oltre la noia.
Ai vostri stanchi amori di superficie,
preferisco un abisso di agili malinconie.
Prediligo sincere prigioni solitarie,
ad una rassicurante culla di ripieghi.
Benedico la passione che mi tormenta,
violenta carezza che m’irrita le notti,
come ortica su pelle corrosa dal sale,
ricordandomi di avere un corpo.
Vi chiudo fuori dalla mia gabbia,
affinché le vostre rinunce quotidiane
trovino senso nelle mie privazioni.
Dalla finestra sul cortile che abitate,
vi guardo trascorrere ore d’aria seriali,
sgambettando lungo il recinto di stracci,
affannandovi nella ricerca di una scusa
per non attraversare la linea di confine,
cercando un nome alla vostra condanna.
Photo by Miguel Á. Padriñán from Pexels