Il nome che non hai

Odio la notte, odio che non ci sei,

odio svegliarmi e convincermi,

per un istante, di trovarti accanto.

Odio il momento in cui svelo l’illusione,

ma cerco di stringerla ancora un poco.

Odio il mattino, senza la tua voce,

odio la radio che parla, parla, parla…

Odio lasciarla ancora accesa,

perché senza odierei il silenzio.

Odierei perfino la Musica,

se si infiltrasse nei tuoi spazi.

Odio i sapori forti, i progetti futuri,

tutto quello che non condivideremo.

Odio non poterti dare un nome,

perché ne hai già tanti, troppi

da pronunciare con una sola voce.

Odio queste mani avide di pelle,

che non riescono a plasmare,

sotto forma di tratti e punteggiature,

quello che nelle viscere mi si annoda,

contorcendosi e agitandosi,

mutandosi e sgretolandosi,

ricostruendosi e truccandosi,

diventando maschera perenne:

un gigno a forma di sorriso.

Odio non poterti cercare,

perché, anche trovandoti,

tra i tanti volti che hai vestito,

non potrei più riconoscerti,

lasciandoti passare inosservata,

rapida e violenta, come acqua,

tra le rapide dell’incertezza.

Adoro questa clausura forzata,

perché giustifica sentimenti immobili,

il rimandare al domani ogni legame,

il mio terrore di darti un altro nome.

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