“Sono passati 75 anni, Amore mio”, così scriverebbe uno qualsiasi di quei soldati, se oggi potesse scrivere una lettera a chi lo aspettava, dall’altra parte del mare.
Il 6 Giugno del 1944, alle 6:30 del mattino, durante una pausa tra due tempeste, cominciò l’attacco del mondo libero al giogo nazi-fascista che stava violentando L’Europa. (Sì, l’ora di uscita di questo post è stata scelta per questo).
Chi mi conosce sa quanto la storia dello Sbarco in Normandia mi abbia sempre affascinato!
Mi ha affascinato tantissimo, fino al giorno in cui, armato di tanto rispetto ed una buona compagnia, ho deciso di visitarne i luoghi.
Ero affascinato dall’organizzazione, dai mezzi, dalla storia, dallo spionaggio, da tutto il contorno di cui avevo sentito sempre raccontare.
Quel giorno il fascino è diventato terrore: terrore che possa avvenire ancora.
È difficile spiegare cosa si prova calpestando quella sabbia ed è impossibile immedesimarsi nei panni di un giovane soldato, costretto a farlo, tra le urla dei compagni che gli cadevano attorno, falciati dall’artiglieria nemica.
Quando, due anni fa, arrivai a quella riva, ero stanco, eppure avevo camminato in discesa, ben riposato, sotto un cielo libero da bombardieri, senza raffiche di mitra, senza la paura a corrodermi i riflessi: nonostante tutto, io ero stanco.
Se in quelle condizioni, ideali, io mi ero stancato, come doveva sentirsi quel soldato, dopo una notte passata in barca, con 40 kg di zaino in spalla, con la guerra sopra ed attorno, con il terrore di morire prima di finire il prossimo pensiero?
Posso azzardare un’ipotesi? SOLO! Si sentiva SOLO!
Non puoi che sentirti solo se sai che il tuo compagno di riparo, l’uomo accanto a te, potrebbe morire da un momento all’altro e tu dovrai lasciarlo lì, in terra, perché non puoi fermarti!
Non puoi che sentirti solo se sai che quello a terra potresti essere tu!
È incredibile pensare che 180.000 soldati (156.000 in terra e 24.000 aviotrasportati), si sentissero soli, eppure penso proprio sia stato così e ne ebbi la conferma di fronte al museo di Omaha, quando un vecchietto inglese, decorato, veterano di quello sbarco, indicando la campagna aperta, mi disse questa frase:
“At that point a friend of mine died, maybe he is still there”. (In quel punto è morto un mio amico, forse è ancora lì).
“Un mio amico” disse, eppure non sapeva se fosse stato mai sepolto. Credetemi, ancora oggi una parte di me è ferma lì, a cercare le parole per rispondere.
Solo nel primo giorno dello sbarco, lungo pochi chilometri di costa, su una spiaggia larga neanche duecento metri, morirono 10.500 soldati.
Per farvi un’idea di quanti sono 10.500 persone, vi basti pensare che è più o meno la popolazione del posto dove sono cresciuto! Una cittadina intera spazzata via in poche ore!
Sogni, speranze, amori e progetti, stroncati in un campo, oppure in pochi metri d’acqua.
La guerra è guerra, si può rispondere: i morti fanno parte della sua natura ed in efetti è proprio così!
Inutile girarci intorno e fare i pacifisti del momento: quella missione era non solo importante, ma necessaria! Non si poteva lasciare il vecchio continente nelle mani di un regime così spietato!
Quei morti, per quanto faccia male ammetterlo, furono necessari e vi dirò di più: vedendo l’orgoglio sul volto di quel vecchio veterano, non posso smettere di pensare che ognuno di loro, se potesse tornare in vita, considererebbe giusta perfino la propria morte!
Quel giorno, come in tutti quelli che seguirono, nessun morto si sacrificò invano, ma per un ideale, per la patria propria e per quella degli altri!
Ma allora, perché ho questo senso di amaro in bocca? Perché provo vergogna, anziché riconoscenza?
Non ve ne rendete conto? Eppure è così evidente…
La morte di quei soldati ebbe un senso quel giorno, ma già da quello dopo cominciò ad averne meno ed oggi non ne ha affatto, perché tutto si sta ripetendo.
Il rinascere dei nazionalismi, la xenofobia, l’esaltazione della mediocrità, il sovranismo: sono tutti sintomi che abbiamo già conosciuto e che rivelavano una malattia che fu curata col sangue, ma che oggi torna ad infettare la nostra società!
LA MEMORIA, la sua mancanza: questo è ciò che rende quelle morti inutili!
LA PIGRIZIA, la poca voglia di studiare, di ricordare: questo, le rende inutili!
Quando scelsi di dedicare le mie ferie estive a quel viaggio, praticamente tutti mi chiesero come mai non scegliessi una località di mare: era una vacanza noiosa, secondo loro!
Signori, signore, vi rivelo un segreto: NON ERA UNA VACANZA, ma una cura!
Stavo sottoponendo la mia coscienza ad una terapia intensiva di memoria, per non dover mai rischiare di perderla!
La mia memoria, oggi, è per quelle solitudini dimenticate in Normandia, ma anche per quelle del Nord Africa, della Sicilia, di Salerno (ovviamente, per appartenenza).
La mia memoria va agli scugnizzi che liberarono Napoli, ai portuali che a Genova e Livorno reintrodussero lo sciopero, ai partigiani ed alle partigiane di tutta l’Europa.
La mia memoria resta ancorata ad un passato in fondo non troppo lontano, ma guarda al futuro.
La mia Memoria non ne vuole sapere di farsi offuscare e perdere di vista l’obiettivo ultimo di quei soldati: un’Europa unita, libera dalle dittature e dall’odio, aperta al futuro e soprattutto in continua evoluzione.
Centinaia di migliaia di esseri umani hanno dato la loro vita, in quegli anni, per assicurarci il diritto di dimenticare e di essere stupidi, la cosa migliore che possiamo fare per ringraziarli è non esercitarlo!
Se invece rivendicheremo quel diritto, molto presto, ci ritroveremo ad aspettare l’annuncio di un altro sbarco, con nuove anime da sacrificare per liberarci dalla mediocrità alla quale noi stessi ci saremo incatenati!