Giochi di potere, una partita a scacchi, la vita di mille in mano ad uno solo! Questa, che in fondo è niente, è la storia a cui l’uomo si è costretto ed assuefatto. Non saprei dire quando ha avuto inizio, io sono solo il miglior testimone di uno dei tanti episodi in cui quei mille hanno deciso di non sopportare ancora.
Lo stato moderno ha lasciato solo il ricordo di un bel sogno, cedendo il posto ad una miriade di tipologie di governo, fino a giungere ad un’aggregazione di disordini.
Fin dalla metà del ventesimo secolo gli stati più potenti cominciarono ad attuare una sorta di politica di ennesimo “neocolonialismo” e dopo non più di trentanni il mondo era già spaccato in due parti: chi accettava e chi subiva.
I primi anni del ventunesimo secolo furono macchiati di sangue per mezzo di stragi, guerre di liberazione, attentati rivoluzionari, propagandistici, ai quali si aggiunsero le relative contromisure, non meno sanguinarie, esercitate dai governi legittimi o solo tv.
Alcuni gruppi sovversivi inneggiarono alla scacciata violenta dei tiranni, ma qualcuno di essi scelse di attaccare anche tra i civili, specie nella fascia mediorientale, che era quella più instabile.
A questo punto, i governi occidentali colsero l’occasione per insediarsi in sempre più stati orientali, fino a che non si creò un vero e proprio regime militare. nei palazzi del potere, intanto, si parlava di unificare le strategie politiche ed economiche.
Il giorno in cui l’uomo che mi ha cresciuto mi portò in Italia, il quattro Ottobre del 2021, io ero poco più che un neonato. Per me era il tempo dell’innocenza e non mi resi conto che le cose stavano già degenerando: era stato creato uno stato unico mondiale, le nazioni che non avevano aderito erano state isolate economicamente e rasentavano la fame, ma la puzza di miseria ancora non arrivava fino alle fasce occidentali, dove io vivevo.
Nelle scuole fu insegnato l’unidioma, un miscuglio d’inglese ed ispanico che in poco tempo sostituì le lingue dei paesi omologati. Fu una decisione obbligata, presa anche per contrastare il sempre maggior diffondersi delle lingue orientali, in particolar modo del cinese.
Nei primi anni dell’adolescenza reputai il tutto come un’ottima idea: uno stato totale, con un,unica lingua, nessuna differenza tra popolazioni, nessuna frontiera, nessun dislivello sociale; già sul finire della stessa età, però, ero diventato diffidente e col tempo mi resi conto che la puzza sarebbe arrivata anche da me.
Se fossi rimasto in patria probabilmente sarei diventato un giurista, poi un funzionario dello stato unico. L’idea non mi piaceva, così feci le valigie e fuggii verso il Sud America, alla volta della vecchia Argentina, in uno dei luoghi che non avevano ancora inglobato e dove speravo d’essere lontano da quell’orribile progetto, nell’attesa che tutto finisse.
Speravo male: nel 2046, quando avevo appena 25 anni e dopo appena un anno di latitanza, fu sferrato il primo golpe: gruppi militarizzati attaccarono, contemporaneamente in più nazioni, prendendo il controllo degli snodi ancora vitali delle istituzioni democratiche.
La maggior parte degli stati non omologati cadde, sotto il fuoco degli stessi eserciti ribelli, guidati da uomini corrotti dalle promesse dello Stato Unico Mondiale: il S.U.M. aveva cominciato ad espandersi, a nutrirsi del mondo ancora sano.
Il pianeta fu suddiviso in nove aree geografiche denominate “quadranti”: Sud America, Nord America, Nord Europa, Sud Europa, Asia Occidentale, Asia orientale, Estremo Oriente, Nord Africa, Sud Africa ed Oceania.
Ogni quadrante fu affidato al governo di un oligarca e furono costituiti un Consiglio economico di esperti ed un Assemblea generale con funzioni legislative, apparentemente eletta dal Popolo.
Fu a questo punto che il governo cominciò a tramutarsi in dittatura ed io mi arruolai nel Fronte rivoluzionario. Lo feci per decidere in modo definitivo da che parte stare, le alternative, del resto, erano inaccettabili: stare a guardare o tornare in patria e cominciare la mia carriera da funzionario statale, anche se, credo, oramai sarebbe stato troppo tardi.
La rivoluzione tecnologica e quella informatica, tutte le speranze dell’uomo dovettero piegarsi ai voleri di chi deteneva il potere. I nostri progenitori ci avevano lasciato in eredità molte speranze, i nostri fratelli ce le tolsero tutte.
Il sette Marzo del 2051 fui fatto prigioniero, mentre mi trovavo in un accampamento ad un paio di ore di furgone da Rosario. Il giorno seguente avremmo dovuto unirci agli altri gruppi ed attraversare tutto lo stato, alla volta di Santiago e del Cile: volevamo presidiare la città, creando contatti e preparandoci ad un assalto.
Il campo era ben vigilato e nascosto dalla vegetazione e da una corolla di colline, ma alle quattro del mattino sentii l’eco degli elicotteri rimbalzare tra gli anfratti: sei bestioni di ferro contro dodici uomini colti alla sorpresa. I soldati saltarono dai velivoli e presero posizione. In appena mezz’ora tutto fu silenzio ed io fui catturato e portato ad El Moro, nella colonia penale n. 3484, un posto dove si preoccupavano di svuotarti d’ogni umanità ed emozione.
L’intera vita di El Moro era accentrata sul carcere, che dava da vivere a molti, pur di rendere impossibile la vita ad altrettanti.
All’inizio non capivo perché il governo avesse speso tante risorse per catturare pochi uomini, dopo avrei scoperto che ne cercavano uno in particolare, non sapevano chi, ne conoscevano solo la paternità: Giusti Guglielmo, mio padre.
In seguito, la piacevole compagnia di una vicina di cella mi fece dimenticare quelle domande, non ne vidi mai il volto, ne udii sempre ed unicamente la voce.
Per 5 anni non seppi più nulla del mondo esterno, sopportai ogni ferita ed ogni umiliazione, nella speranza di sopravvivere fino al giorno di poter dare un’immagine a quel suono.
Sono libero, o solo liberato, dal primo Settembre 2056, ma ancora oggi, a distanza di ormai tre anni, vorrei sapere se realmente non provassi piacere in quella reclusione, così fuori dal mondo e lontana dalla guerra totale, talmente vicina alla Pace da rendere sopportabile anche la tortura.
Ciò che segue è la testimonianza di come andarono, sono andati e potranno andare i fatti dell’umanità e di un singolo uomo. Nel mio caso cominciò con un biglietto:
“Ore tredici – Attacco al carcere – Ordini Superiori: mettersi in salvo ed arrivare al punto prestabilito entro l’alba”.