Dall’ala di un angelo caduto,
una piuma mi si posa in mano:
è bianca, leggera, immacolata,
lieve solletico sul palmo disteso.
Passa un minuto, poi un’ora,
non serro il pugno, sopporto,
la piuma sussulta e vibra,
stimolata da timida brezza,
mentre io la osservo, curioso,
immaginando l’ultimo volo,
i mondi lontani che ha visitato.
Passa un giorno, la mano trema,
eppur resiste all’istinto di ritrarsi.
Piove e l’acqua cola tra le dita,
la piuma brilla di gocce superstiti.
Passa un mese, un anno, la vita,
il braccio, teso all’orizzonte,
non cede all’attrazione della resa,
trafitto dalla fatica dell’esistenza,
nel soffrir l’atroce leggerezza.
Ad un istante dalla fine,
l’angelo caduto compare,
picchietta con l’ala alle spalle:
“Non vedi che la mano è vuota?
Lei è andata via, soffice,
tu hai sostenuto il vento!”.
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