Non sovra-esporti, oppure ti brucerai!
La parola del giorno è “Esposizione”, una parola che deriva dal latino “EXPONERE”, vale a dire “EX-PONERE”, ossia “Porre Fuori”.
Può sembrare un pippone linguistico, ma non è poi così scontato!
Negli ultimi due o tre giorni ho parlato molto con un’amica (che saluto, essendo ormai l’editor ufficiale del blog) di questioni mie personali. Durante le chat, la parola “esposizione” è venuta fuori più volte, spingendomi a riflettere sul termine e sul suo significato.
Ne ha solo uno? Cerchiamo di capirne gli ambiti.
COSA VUOL DIRE “ESPOSIZIONE”?
Personalmente, quando sento la parola “esposizione”, per indole e formazione, la prima cosa a cui penso è una mostra: quadri, foto, statue, francobolli, non conta di cosa.
Io penso ad un’esposizione di qualcosa di bello, un qualcosa messo lì da qualcuno, perché qualcun altro possa “ammirarlo”, oppure trarne un giovamento, un arricchimento o solo un minuto di gioia.
Dietro quell’esposizione, non c’è solo il gesto di prendere qualcosa e di metterlo sotto un riflettore, ma tutta una serie di passaggi.
Facciamo l’esempio di un pittore: quando arriva all’esposizione, ormai il suo percorso è finito. L’opera d’Arte è già avvenuta, intendendo la parola “Opera” nel suo senso più stretto di “azione”.
Quando le persone ammirano i quadri dell’Artista, lui potrebbe anche non essere presente, perché la parte di se che vuole “esporre” è rappresentata dai suoi quadri.
Il percorso del pittore è cominciato, magari, anni prima, forse da ragazzino, quando ha cominciato a disegnare le prime figure coi gessetti, per poi continuare, lungo la sua esistenza, passando per le sue gioie e i dolori, per i fallimenti e i successi.
Quando il quadro arriva a ricevere la sua illuminazione, sono ormai trascorsi mesi da quando è stato iniziato: me lo immagino in una stanza disordinata e poco illuminata, con un unico fascio di luce, puntato sulla tela.
Ecco, questo è un modo di intendere la parola “esposizione” che mi piace molto: prendere un qualcosa dal buio e metterlo in luce, portarlo “fuori”, alla libera conoscenza di qualcun altro.
Il pittore non sta esponendo solo un quadro, ma se stesso, pur quando non è lui, direttamente, a sistemare l’opera in bella vista: l’ha realizzata!
Questo concetto può essere capito meglio con l’esempio di una vetrina di un negozio di abbigliamento, anzi di TRE negozi di abbigliamento.
Abbiamo il piccolo laboratorio artigianale di un’aspirante stilista, il grande atelier in Via Monte Napoleone a Milano e quello più classico del punto vendita in franchising.
Nel laboratorio artigianale lavora una giovane ragazza, proprietaria, disegnatrice, sarta, commessa, commercialista ed addetta alle pulizie di se stessa.
Nel grande atelier lavora un gruppo di persone, tutte molto competenti in materia, tanto che sembra quasi abbiano disegnato loro quelle collezioni, anche se non è così.
Nel punto vendita in franchising lavora un commesso, con un contratto part-time pagato male e con un’eterna promessa di promozione.
Possiamo considerare le relative vetrine come “esposizioni” di uguale intenzione? Pensateci!
La giovane stilista segue quel capo dalla scelta delle stoffe fino al momento in cui lo fa indossare al manichino, un po’ come il pittore che sceglie colori e qualità della tela.
Il personale dell’atelier mette in vetrina quella che considera un opera d’arte: per molti non è così, ma per loro sì! Si comportano come gli allestitori della mostra del pittore, di cui sopra.
Il commesso del punto vendita, invece, mette in vetrina, magari anche svogliatamente, il prodotto di una catena di montaggio, pensato e realizzato in maniera industriale.
Sono tre contesti molto simili, in cui si svolge la stessa identica azione, ma con risultati completamente diversi!
La parola “Esposizione”, non sempre ma spesso, supera il suo significato letterale, legandosi più al CHI espone che al COSA.
In questo senso non SI ESPONE, ma CI SI ESPONE!
Ci si espone alle critiche, positive o negative, ad esempio. Ci si espone al giudizio, al verdetto unilaterale ed insindacabile del resto del mondo, accettandone le eventuali conseguenze: vi sembra come mettere un paio di scarpe in saldo? Non mi sembra!
Cambiamo significato (o significante), vi va?
Pensiamo a chi “espone” una tesi, oggi giorno va molto di moda!
TUTTI espongono, continuamente, il proprio parere, anche quando non richiesto, sui social. Espongono le proprie idee, che sono il frutto della propria formazione, quindi di ciò che si è!
Lasciando perdere i tuttologi del web, limitiamoci ad esempi “virtuosi”: uno scienziato che espone una nuova teoria, oppure una laureanda che discute la propria tesi di laure (esporre una tesi).
Una persona elenca le proprie ragioni, ESPONE parole, come manifestazione ultima di un pensiero, chiedendo agli altri, possibilmente competenti, di valutarle.
Ora, se è vera l’affermazione “cogito ergo sum”, quella persona, come il pittore, non sta mettendo in gioco solo dei fogli di carta con degli appunti, ma tutto il percorso che ha fatto: il più delle volte quel percorso è il culmine di un’intera esistenza.
Anche in questo caso CI SI ESPONE, anche in questo caso il CHI si rivela attraverso il COSA.
Un significato più moderno, invece, ma che offre interessanti spunti di riflessione, è quello che viene dato alla parola “esposizione” dal mondo della fotografia.
In fotografia con “esposizione” si intende la quantità totale di luce, che viene lasciata passare, attraverso l’ottica, in un dato periodo di tempo: ancora una volta torna la luce, come nel caso della mostra di quadri.
Per chi non mastica di fotografia, cercherò di spiegare in maniera semplice, questo processo: la luce che colpisce un oggetto, rimbalza verso l’obiettivo, passa attraverso l’ottica e va ad imprimere (esporre) la pellicola (oggi un sensore).
La luce ESPONE il soggetto fotografato, imprimendolo sulla celluloide o in una memoria.
Qui si potrebbe aprire un secondo spunto di riflessione partendo dal concetto platonico di Arte come “copia della copia”, ma lo riserviamo per un’altra volta e non divaghiamo.
Abbiamo detto che l’esposizione fotografica è determinata da una quantità di luce: se ne si fa passare troppo poca, la fotografia risulterà scura, al contrario ne verrà fuori un soggetto “bruciato”.
Dalla fotografia, quindi, possiamo imparare l’importanza della quantità di esposizione, mutuandolo in altri contesti.
Un quadro troppo o poco illuminato, in una sala, non sarà valorizzato e non farà giusto onore al talento dell’artista. Una vetrina con luci piazzate a caso non spingerà i clienti a comprare quel capo d’abbigliamento. Troppe o poche parole determineranno perdita di attenzione in un pubblico.
Quindi, non solo contano COSA e CHI espone, ma anche quanto, siete d’accordo?
Facciamo finta che lo siate ed arriviamo dove volevo condurvi, fin dall’inizio: cosa succede quando l’oggetto dell’esposizione sono i sentimenti?
Tecnicamente, non cambia molto da un paio di pantaloni in vetrina, una tesi astronomica o una tela dipinta: anche in quel caso si tratta del punto d’approdo di un percorso, come l’oggetto esposto rappresenta in realtà il soggetto che espone, forse addirittura più palesemente.
Vi chiedo una cosa: se voi foste il direttore del negozio di abbigliamento e quel pantalone in vetrina non vendesse, cosa fareste?
Io penso che, probabilmente, proverei a cambiare illuminazione: come prima cosa, cambierei il modo in cui lo sto “esponendo”.
Nonostante i miei sforzi, tuttavia, poniamo ancora il caso che la gente continui a passare avanti alla vetrina, continui a guardare il pantalone, ma nessuno decida di provarlo o di acquistarlo.
Voi cosa fareste? Io lo rimuoverei dalla vetrina e ne esporrei un altro.
Andiamo oltre ancora: dopo tanti tentativi, dopo aver provato ad esporre tutti i capi in magazzino, dopo aver provato cento allestimenti diversi della vetrina, fatto sconti, pubblicità e promozioni, il negozio continua a non vendere.
Voi cosa fareste? Molti, probabilmente, rinuncerebbero, chiudendo il negozio.
Questa scelta avrebbe effetto in una certa misura sul commesso del negozio in franchising, ma sarebbe devastante per la giovane stilista del piccolo laboratorio: lei non perderebbe solo il lavoro, ma tutta la propria storia.
Il commesso troverebbe un altro lavoro, mentre la giovane stilista rinuncerebbe ad un sogno.
Il pittore smetterebbe di dipingere, lo scienziato comincerebbe a dare ripetizioni e così via…
Ad un certo punto si smette di comunicare, si rinuncia. Come nel caso di una foto, l’eccessiva esposizione brucia l’immagine originale, rendendo inutile ogni tentativo di recuperarla.
Ecco perché, quando dichiariamo un sentimento, siamo così emozionati e come mai, dopo un po’, smettiamo di farlo: all’inizio c’è il terrore del pittore alla sua prima mostra, poi, se il pubblico guarda e pass avanti, distrattamente, subentra prima la delusione, poi l’autodifesa.
Potrà sembrare un discorso molto freddo e razionale, forse eccessivamente, ma vi assicuro che più ci penso e più è così. nei prossimi giorni, infatti, spero di riuscire a terminare un post sul collegamento marketing-rapporti personali.
È giusto “esporsi”, è giustissimo “esprimere” (dal latino, “premere fuori”) i propri sentimenti, ma esiste un limite, superato il quale si rischia di bruciarsi: a quel limite bisogna fermarsi, altrimenti si corre il rischio di vivere come se si sostenesse un eterno esame (sotto-testo per la editor).
Spesso, se non si riconoscono nella vostra foto, non è perché c’era poca luce, ma perché non stanno guardando: in quel caso, non aumentate l’esposizione, cambiate semplicemente soggetto.
A volte tocca anche un po’ agli altri fare la propria parte… Come in questo blog, no? Io scrivo, voi leggete, in alcuni casi poi capita il contrario.
Lasciate che vi racconti, in chiusura, un aneddoto: due anni fa ho stampato un piccolo libretto con alcune mie poesie, come regalo natalizio, per alcuni amici. Più di una volta mi è stato chiesto se avrei ripetuto l’esperimento e quest’anno mi ero quasi deciso. Per varie ragioni, poi, non l’ho fatto. Più di una persona, allora, mi ha espresso il desiderio di leggere quelle poesie, che sono su questo blog, pubblico e consultabile da qualsiasi smartphone.
Se quelle persone non leggono le mie poesie, non è perché io non le ho esposte, stampandole, ma perché non vogliono farlo. Aumentare l’esposizione significherebbe solo sputtanarmi. Qui, invece, con la giusta esposizione, so che chi le legge lo fa perché VUOLE farlo.
Personalmente, ultimamente mi sono un po’ sovra-esposto, per fortuna non mi sono ancora bruciato…
— AGGIORNAMENTO 12 01 21 – 14:16 —
Su suggerimento della mia editor, aggiungo un altro esempio: i pasticcini!
Mi dicono (ed io mi fido) che, in una pasticceria, le persone desiderano sempre i dolci che non sono esposti, snobbando quelli in vetrina. Quando, però, poi, quelli generalmente in vetrina mancano, all’improvviso tutti desiderano ordinarli.
Io aggiungerei che, spesso, si desidera sempre il dolcetto che sta mangiando qualcun altro. Forse perché l’esposizione non basta e serve anche il tutorial? Chissà…
Photo de Adrianna Calvo provenant de Pexels