Biancaneve: nessuna rivoluzione, è solo marketing!

[Tempo di lettura stimato: 9 min.]

La povera Biancaneve, negli ultimi tempi, sta subendo più di un accanimento: non sarebbe ora di lasciarla morire in santa pace?

Solo qualche tempo fa si scatenò la polemica sul fatto che il “bacio del vero amore” fosse una molestia sessuale, perché non consensuale.

Adesso, invece, sta per uscire un nuovo film, senza i “Nani”, senza il “Principe Azzurro”, probabilmente senza la “Strega Cattiva” e ho il sospetto che non ci sarà neanche lo “Specchio Magico”… Allora, cosa resta della storia originale?

Niente! Del resto cosa può sopravvivere, quando una storia passa per le mani pigre di ri-scrittori, senza fantasia?

Qualcuno pretende di riscrivere le vecchie storie, giudicandole poco attuali e distanti dai valori della società contemporanea. Qualcuno pretende di cmabiare il passato… Qualcuno si crede Dio?

Partiamo dal merito dei “nuovi valori”, siamo d’accordo? Io sì, lo sono in pieno: sono d’accordo sul fatto che la società contemporanea ha NUOVI VALORI, ma questo vuol dire solo che HA BISOGNO DI NUOVE STORIE!

Biancaneve è una storia di fine XIX secolo e molto probabilmente con radici in almeno due secoli prima, davvero volete farmi credere che ri-scriverla, eliminandone intere parti, tagliando personaggi e stravolgendo la storia, rappresenta una conquista per la società del futuro?

Personalmente, io penso che rappresenta una sconfitta, per l’Arte della scrittura, che si dimostra INCAPACE di scrivere storie nuove, più aderenti al mondo in cui viviamo.

Più che una coraggiosa rivoluzione, io ci vedo un timido accontentarsi di una mossa di marketing ben studiata: Biancaneve ha sempre venduto… Qualcuno vuole una “rivoluzione” e quancun altro gli VENDE una vecchia fiaba, mascherata da rivoluzione!

Non state costruendo una nuova società, state ricondizionando quella vecchia!

Io sono d’accordissimo anche col fatto che, in quella storia, c’è tutta una serie di valori ormai desueti, ma allora perché non mandarla in pensione?

Non ci piace? BENE, non leggiamola più, dimentichiamola e andiamo avanti: SCRIVIAMO NUOVE STORIE, ripeto!

Di questo passo, cosa faremo? Riscriveremo “Hansel e Gretel”, sostituendo la casa di marzapane, con una capanna di avocado, perché troppo zucchero fa male e le nuove generazioni preferiscono il cibo sano?

La scelta di eliminare il Principe Azzurro, poi, a mio parere, è altamente svilente per ogni donna: Biancaneve, secondo loro, diventerebbe così una donna forte?

Cosa devo capire, che questa ragazza s’arrangia da sola, solo perché non c’è un uomo su cui contare?

Una donna forte è tale NONOSTANTE la presenza di un uomo, non solo quando quest’uomo non c’è!

Non parliamo poi dell’altra tendenza degli ultimi tempi (vedi film di Barbie): per dare l’idea di una donna forte, le si mette accanto a un ebete o una serie di maschi tossici… Non sapendo rappresentare davvero una “donna forte”, lasciano la solita cretina che il cinema ci ha proposto finora, ma abbassano l’asticella della percezione della “forza”!

Sì, bravi, complimenti, sono certo che è il miglior modo di rappresentare il mondo femminile, come parte attiva e fondamentale della società contemporanea: troneggi, solo se non c’è una valida concorrenza maschile… Sì, proprio un bel quadretto!

Chi è il vostro esempio di “donna moderna”, la moglie di Fantozzi?

Ok, calmiamoci, cerchiamo di trovare un punto d’incontro: forse ho una proposta!

Se proprio sentite tutto questo attaccamento alla fiaba di Biancaneve, tanto da non riuscire a distaccarvene, vi suggerisco di utilizzarla come “ispirazione”, invece che come “metadone”.

Quella che segue è la mia personale proposta di una fiaba che scimmiotta Biancaneve, adattandone la trama ai tempi moderni.

Capatanta e i sette rider.

C’era una volta e probabilmente c’è ancora, in una malmessa periferia del Sud Italia, una ragazza molto intelligente. Di lei si diceva che aveva un cervello gigante, così gigante che i suoi genitori, appena nata, decisero di chiamarla “Capatanta”.

Capatanta era figlia di un piccolo imprenditore tessile e della sua amata moglie, ma quest’ultima l’aveva abbandonata da bambina, per andare a ritrovare se stessa, al seguito di un gruppo di danze popolari tailandesi e di lei si erano perse le notizie, nei vicoli di Bangkok.

Il padre di Capatanta, allora, decise di risposarsi con Labbracanotto, la sua igienista dentale, che aveva vent’anni meno di lui e sognava di diventare un’influencer affermata, nel campo dell’alta moda.

Capatanta crebbe, era una brava studentessa e passava il suo tempo libero lavorando nella fabbrica di famiglia, ma anche facendo volontariato per il recupero dei cuccioli abbandonati di pantegana.

Un giorno, Labbracanotto, consultando le statistiche dei propri social, si rese conto che Capatanta aveva più followers.

Evidentemente, Capatanta, riusciva anche ad avere una discreta vita sociale, oltre all’essere campionessa di quasi tutte le discipline olimpiche.

Labbracanotto, allora, pagò un caporeparto per farle mobbing e distruggerle la reputazione in azienda, ma quest’ultimo non riuscì a portare a termine il lavoro, perché Capatanta, l’anno prima, gli aveva compilato la dichiarazione dei redditi, facendogli prendere un discreto rimborso.

Il caporeparto suggerì a Capatanta di fuggire lontano, perché il padre era ormai vittima dell’incantesimo di Labbracanotto… Con quel nome, potete immaginare di che tipo di magia si trattasse.

Capatanta decise di trasferirsi a Londra, dove trovò lavoro come cameriera e interprete di aramaico antico, alloggiando in un piccolo appartamento, condiviso con altre 7 persone, tutte di nazionalità diverse e che per mestiere facevano i rider.

Capatanta si rese subito conto che i sette rider avevano tanta voglia di lavorare, ma anche che erano sfruttati.

Nel giro di qualche mese, trasformò il lavoro dei rider in un’azienda autonoma, ideò e programmò una nuova APP, che permetteva di effettuare ordini a domicilio, ma in maniera solidale ed ecosostenibile. In più, per ogni ordine effettuato, un bambino del terzo mondo riceveva un’istruzione universitara, cure private e l’abbonamento alla Virgin.

Di lì a poco, Labracanotto si rese conto che non solo Capatanta aveva sempre più followers, ma che si stava arricchendo e che i giornali cominciavano a parlare di lei.

La matrigna cattiva, allora, decise di mettere in rete tutta una serie di fake news e finte recensioni negative sull’app, con lo scopo di boicottarne l’attività.

Il piano di Labbracanotto, per un po’, riuscì bene, portando Capatanta in forte depressione, tanto da aver bisogno di entrare in analisi, in cura dal dottor “BluePrince”.

Il dottor BluePrince ci mise poco a capire che la giovane ragazza era vittima degli eventi e la convinse che non aveva bisogno di alcun aiuto: doveva solo ritrovare la sua tenacia e affrontare a muso duro le difficoltà.

Capatanta, allora, si rimise al lavoro e smascherò tutte le fake news, segnalando ogni falso profilo e arrivando perfino alla chiusura de canali originali di Labbracanotto, che fu mollata anche dal marito, che intanto aveva scoperto Tinder e si era liberato dalla maledizione.

Capatanta tornò dal dottor BluePrince, lo convinse a fare coming out e divenne sua socia in una catena di Night Club, di cui affidò la gestione ai sette ex-rider.

Tutto vissero realizzati e contenti.

Che ne dite? È una vera merda questa storia, vero?

Certo che lo è, non potrebbe essere altrimenti, essendo un arrangiamento maldestro di un vecchio classico con una serie di valori moderni, buttati dentro come ingredienti casuali, nella cena di un giovane single, alla sua prima esperienza da cuoco.

Eppure, se ci fate caso, quei valori ci sono tutti: c’è la donna intelligente e caparbia, in grado di far fronte alle difficoltà, solo grazie alle sue capacità. C’è la critica allo sfruttamento del lavoro precario. C’è l’accettazione della propria identità sessuale… C’è tutto, il problema è proprio che c’è troppo e messo insieme con eccessivo cattivo gusto!

Il centro de ldiscorso è che l’unico modo per dare risalto a un valore è creargli un vestito nuovo, fatto su misura, ma senza metterlo troppo in mostra, invece di piazzargli addosso una divisa usata e un riflettore, rendendolo un’attrazione da circo degli orrori!

Volete un esempio? IL MAGO DI OZ!

Cosa c’entra? In effetti anche io l’ho scoperto da poco, grazie a questo video: https://www.youtube.com/watch?v=pfjytvIx90E.

Avete mai notato che il Mago, in questa storia, non realizza MAI alcun desiderio? Il Leone era già coraggioso, l’Uomo di Latta aveva già un cuore e lo Spaventapasseri aveva già un cervello.

Il Mago, alla fine, non fa altro che dare loro dei feticci, dei palliativi per rendersi conto di quello che hanno già.

In più, il Mago ha convinto tutti che la Città di Smeraldo è verde, anche se non lo è davvero, oltre al non essere mai stato visto da anima viva, perfino dai suoi servitori!

Vi ricorda qualcosa o qualcuno? Su, pensateci… Non vi ricorda “DIO”?

Sì, proprio quel Dio che nessuno ha mai visto e che tutti immaginiamo a nostra immagine, a cui diamo i meriti delle nostre fatiche… Proprio lui!

Alla fine, Dorothy, la protagonista, torna a casa, ma realizzando DA SOLA il suo desiderio e addirittura È LEI a realizzare quello del Mago, uccidendo la Strega.

Il “Mago di Oz” è una colossale critica al fanatismo religioso!

Questi sono solo gli spunti di riflessione originali, voluti dall’autore L. Frank Baum, fin dai suoi libri, ma NON FINISCE QUI!

Nessuno ha mai notato che il Leone si fa truccare e che l’Uomo di Latta parla del “suo amato”, in una canzone?

Ecco, dovete sapere che Baum non era per niente un sostenitore dei diritti degli omosessuali, pur essendosi schierato a favore di Oscar Wilde, quando fu processato. In più era apertamente razzista!

Ecco che, però, la genialità di Victor Fleming, regista del famoso film del 1947, è riuscito a inserire i diritti civili, in una storia scritta da un razzista, probabilmente anche omofobo, senza rimuovere personaggi o cambiare la trama!

L’operazione di Fleming riuscì talmente bene che, anni dopo, la canzone “Over the raimbow” divenne l’inno della lotta per i diritti degli omosessuali, negli USA. Probabilmente anche grazie a questo che la “bandiera LGBT”, oggi, è un arcobaleno.

Vi dirò di più: perfino la sigla “LGBT” è stata creata, dalla polizia, per identificare le persone che partecipavano alle proteste, dovute alla repressione successiva alla morte, per overdose, della protagonista del film Judy Garland. Fino a quel momento, infatti, erano tutti accomunati dall’unica categoria di “invertiti”.

Sarebbe bello se, oggi, avessimo dei registi e degli autori illuminati, in grado di prendere vecchie storie e dare loro nuovi sapori, come fanno i grandi chef, con i piatti della tradizione.

Purtroppo, invece, quello che vi viene proposto è solo un prodotto da fast food, addobbato e pubblicizzato come piatto gourmet, che noi acquistiamo e paghiamo, ipotecando i nostri ideali.

Pensate sia rivoluzione, invece è marketing!

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.